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STORIA
DELLA TOSCANA
SINO AL PRINCIPATO CON DIVERSI SAGGI
SULLE
SCIENZE LETTERE E ARTI
D I
LORENZO PIGNOTTI
I5T0R10GR.ÌFO EEGIO
TOMO QUINTO
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3.d.y5
FIRENZE
^ESSO GAETANO CUCCI 1026.
DEL RINASCIMEiNTO
DELLE
SCIENZE E LETTERE
SÀGGIO SECONDO
jLn ogni parte della terra ebbero gli uomini la disposizione alle scienze , alle arti , alle lettere. Vi sono però dei paesi più atti a svilupparne i se- mi , e a Tarli piìi vigorosamente ve- getare . Vi sono delle piante , cbe amano dei particolari climi . e non si attaccano, o mal si nutriscono altrove. Se l'esperienza ci mostrasse, che dopo reiterati turbini, i quali in varj tempi hanno cangiato in un deserto la fac- cia del terreno, vi è una parte di esso, in cui è presto risorta fresca e vigoro- sa la vegetazione spontanea, mentre le altre son restate sterili (anche talora ad onta di ogni fatica del cultore ) fa- rebbe di mesliero confessare, che quel
4 DEL RIN. DELLE SC. E LET. suolo è privilegiato dalla natura, e da essa ha ricevuto una fertilità singola- re. Ciò è accaduto appunto all' Italia posta a confronto con altre nazioni , Rapporto alle scienze, alle arti, alle let- tere. Lascerenìo da parte le nazioni orientali, madri certamente della pri- miera luce che ha poi recato sì gran giorno all'occidente. La loro istoria essendo ravvolta nelle incerte tradi- zioni, e nelle favolose congetture, non si può con sicurezza decidere se quel- la luce era un crepuscolo ovvero un sole, come quello cbe splende ora sul- l'Europa, (i) Comunque ciò sia o si riguardino le antiche, o le moderne na-
(i) Varie sono le opinioni: per mostrarne ìa. grande incertezza basterà citare due degli Uomini più grandi del nostro secolo, il sig. di Bailly, e il sig. de la Place. Il primo cre- de che in tempi dei quali non esiste traccia Jielle istorie, sieno state le scienze, e in spe- cie l'Astronomia coltivata colla stessa delica- tezza e precisione che lo è al presente: l'al- tro è di contrario sentimento. Si consultino: Bailly , histoire de 1' astron. e la Piace, ex- posit. du àisteui. du monde.
SAGGIO SECONDO 5
zioni nella più favorevole ipotesi, si scor- gerà che una sola epoca illustre esse con- tano, una sola età dell' oro in cui le arti, le scienze e le lettere vi sien fiorite . La Grecia ne vanta una delle più luminose, cioè r età di Pericle , e di A!essandro,di cui è stato ingegnosamente detto, che De- mostene ed Eschine , dopo aver mosso e sedato a loro senno le popolari passioni colla magia dell'eloquenza potevano ri- lassar Io spirito al teatro sulle tenere produzioni di Euripide, e di Sofocle , o sollevarlo ai versi sublimi che celebrava- no i vincitori di Elide , o dolcemente oc- cupar gli occhi sulle tele di Apelle , su i marmi di Fidia, o sui bronzi di Lisippo. Dopo questa grand" epoca, varie vicende politiche hanno condotto quel paese , si caro un tempo alle muse, nell'ignoranza e nella barbarie , in cui resta tuttora sepolto.
Tre di quest'epoche luminose vanta 1" Italia; la prima anteriore alla greca quando le arti, e le lettere fiorivano nel- la antica Toscana, come abbiam mostra- to a suo luogo (2); la seconda l'età di Augusto: la terza si deve ancora alla To-
(uj Lih. I. rap. 1,
Pi §11, T. V. 2
6 OT^.L RIN. DELLK SCIEN. E LETT. scana , ir? cui le lettere, e le arti ristora- te dopo una ìunga barbarie, non solo re- sero Firenze una novelle Atene , ma la luce ivi accesa si è di là dilìusa sai resto dell'Europa, che è in obbligo di ricono- scere la prima maestra sulla riva del- l' Arno . Queste tre epoche, che niun al- tro popolo può vantare, son la più certa prova della naturale fertilità degl' ita- liani ingegni. L' età di Augusto vuoisi però riguardare come inferiore a quella di Pericle: oltre Tessere obbligata Roma a riconoscer la Grecia come sua madre (3) , e maestra , se la rivaleggiò nelle let- tere, e nella filosofìa, se T eloquenza di Tullio per Ja grandezza degli oggetti nei quali occupossi.parvea molti che superas- se quella dei greci oratori (4) j se la bella e Jimpidu imaginazione diVirgilio, guidata
(3; Grneci'a cnptaferurti victorem cepit, et artes. Intulit agresti Latio etc. Hor. ep. ad Aug. (4) La questione del primato non è facile a terminarsi. Il Petrarca 1' ha decisa in favore di Cicerone , n^a si può opporre che ignorava il greco. Trionfo della Fama e. 3. j) Questi è quel Marco Tullio, in cui si mostra M Ciìiaro iiuan'i ila eloquenza friilt! e (ìori , * QuestJ son i^li cechi della lingua nostrj».
SAGGIO SECONDO 7
sempre dalla ragione, potè colla sua sag- gia regolarità compensare la maucanza talora della forzale delle siibliini linagiiìi, di cui abbonda tanto 1' Epico greco , se negli aurei scritti filosofici di Cicerone si trova la precisa ragione ornatii di sem- plici abbigliamenti, e in Platone sforma- ta talora di» una inintelligibile metafisica, e se ponderati i vantaggi, e gli svantaggi possono la madre e la figlia in questa parte considerarsi eguali, è la figlia poi totalmente inferiore nelle belle arti. Fu questa gloria sdegnata dai romani , e l'abbandonarono ai greci artefici, die in si gran folla venivano alla capitale del mondo (5) . Le belle statue ed i quadri , clic adornavano le stanze degli opulenti
» Dopo venia Demostene, che fuori » E di speranza ornai del primo loco, « Non ben contento dei secondi onori, (5) » Excudent aia spivantìa niollìus aera R Credo equidemvivos ducent de marmare vultus. Fin qui Virgilio è veridico j ma 1' adulazione verso Augusto , e la famiglia dominante , a cui non poteva nominarsi, o almeno essere ascoitat^o con piacere il nome dell' ultimo sostegno deìla libertà , £;li ha fatto aggiungere;
» Orabunt metius caussas...^\vg.k%yì..\.Q ,
8 DET, RlIS. DELLE SCIEN. E LETT. romani, erano di mano greca. Ma se i cit- tadini romani sdegnarono lo scarpello, e il pennello, la stima, che facevano dei la- vori dei grandi artefici , i premi e 1' in- coraggimento , che davasi loro in Roma, produceva lo stesso effetto che coltivar Je belle arti colla loro mano . I romani palazzi furono cosi profusamente ornati di statue, che dopo tante mine a cai la barbarie o la superstizione condannolle, dopo tante rapine , o ai tempi di Costan- tino, o in appresso , tuttavia Roma tanto ne abbonda da sorprender sempre i fo- restieri.
L'aurea età di Augusto andò alteran- dosi secondo il consueto per la continua mistura di una lega sempre inferiore ; r oro si converti in argento , in rame, ed anche in più vile metallo. La sorte delle cose umane sì fisiche che morali è di a- vere un periodo d" infanzia , di gioventù, di virilità, di vecchiezza. Da queste non sono esenti le belle arti , e le lettere: vi è il sommo apice del bello, e alcuni confini clie non si oltrepassano senza piegare al- la decadenza (6).L' isterica osservazione,
(6) ... stimmi scf uè negatum
Slare din. Lucan. Phars. lib. i.
SAGGIO SECONDO 9
tante Tolte ripetuta, ci mostra , che l'im- paziente imaginazione non può tratte- nervisi , e che sdegnando di comparire imitatrice di quei modelli , che sou giunti air apice del bello , ama di batter nuove strade, anche quando T allontana- no dalla perfezione. Perciò a Marone, ad Orazio, a Tullio, a Cesare dovettero suc- cedere lineano , Stazio , Seneca, l'iinio . Come però nei fisici corpi la vecchiaia è accelerata dalle malattie , così la naturai decadenza delle arti nelle romane prò- vincie fu affrettata da cause politiche. Le reiterate invasioni dei Barbari, portando la desolazione in quei paesi una volta sì felici, bandivano la tranquillità necessa- ria agi' ingeg;ni. Quando poi i Barbari ne divennero i padroni, incapaci di apprez- zare le lettere , e le arti, anzi riguardan- dole come indegne di un guerriero, e atte ad ammollirne il coraggio , doveano spe- gnerle affatto. Tali furono per molti se- coli i dominatori d' Italia ; e goti , lon- gobardi , o franchi nel dispregio del sa- pere si somigliarono. In questo general naufragio, gli ecclesiastici conservarono quel poco di letteratura, che rimase in Italia. Eispettati anche dai barbari , oh-
IO DEL RTN. DELLE SCIEN. E LETT. Lligatì a spiegare i dogmi del vangelo, a difenderli dai novatori , furono nella necessità d'istruirsi; e la sacra letteratura si conservò presso alcuni SS. Padri degli oscuri secoli , ma scevra per lo più di oani ornamento di stile. Oltre la neeli- genza , molti anzi sono accusati di aver contribuito al par dei barbari all'estin- zione delle arti, e delle lettere: spregian- do queste come di origine pagana, e rui- iiando le statue come idoli , o ritratti di profani eroi del gentilesimo . Da questa accusa non è stato esente uno dei pili grandi pontefici, Gregorio Magno. Si as- serisce che , quantunque dottissimo nei sacri studi, odiando le lettere , bruciasse gli scritti degli anticbi classici , e facesse romper le statue , o precipitarle nel Te- vere. Benché tale azione sia negata dai suoi difensori nei nostri tempi , nei quali questa persecuzione è riguardata come una barbarie , in ])ìù antica età non solo fu assicurata da uomini santissimi , ma riguardata come opera meritoria; e l'im- parziale lettore, dopo avere esaminati i documenti , troverà motivi piuttosto di crederla, die di rigettarla (7) . Da tante (7) A eraroente non esistono testimonianze di questa rabbia di Gregorio contro le arti e le
SÀGGIO SECONDO il
cause, e sì lungamente continuate , cre- scendo sempre la barbarie in Italia , si ridusse nei IX, X e XI secoli alla più te- nebrosa ignoranza , e senza replicare ciò che abbiamo a suo luogo piìi dilfusamente
scienze, se non posteriori più di 5 secoli alla sua età, 1 testimoni però sono positivi ed autorevoli, Gio. di Sarisbery.Fra Leone di Orvieto, ed altri; questi o trassero i documenti da memorie ora per- dute, o scrissero ciò che la generale, e non inter- rotta tradizione aveva loro insegnalo. Un'opinione tradizionale passata per tante bocche, continuata senza contradizione per tanto tempo , acquista grandissima autorità. Per conciliargliela però conviene esaminare rigorosamente se gli scrittori abbiano qualche motivo personale, o di setta, di afTerniare o negare; Gio.di Sarisbery, e Fra Leo- ne non sono detrattori di Gregorio , anzi lo ve- nerano come un santo, e il secondo lo loda alta- njenle per aver ruinate le statue dei Pagani: al- lora l'asserzione comincia a prender forza . Se fra gli assertori dell'inimicizia di Gregorio coi Classici si trovano dei santi ,su cui non cade so- spetto di animosità , come S. Antonino, che cita il cardi naie Gio, di Domenico, se in un editto di Luigi II re di Francia, dandosi infinite lodi a Gregorio, si asserisce lo stesso che da S. Anto- nino, ch'ei tentasse di sopprimere le opere di Cicerone, se negli scritti di questo Poulefice si
ti DEL rJN. DELLE SCIEN. E LETT. esposto (8) , per conoscere quale strana rivoluzione si era fatta nel gusto , non si ha che da paragonare i versi di VirgiJio con quelli di Douizone , V istorie di Ta- cito , e di Sallustio colle superstiziose leggende di questo secolo , e le gotiche fabbriche , o le goffe statue col Panteon, coli' Apollo di Belvedere, o colla Venere dei Medici. Ma vi ha un sommo apice nel bene come nel male; e pel fato delle cose umane si deve da quello retrocedere in meglio. I germi delle arti, e delle scienze restavano tuttora inoperosi ed inculti nelle biblioteche,e nel seno degl' itali.ini: e come dopo il verno o la tempesta , che hanno distrutto le famiglie degl' insetti, ne restano i fecondi embrioni nel suolo, che attendono per nascere il tepore di primavera , cosi non aspettavano quelli che le circostanze opportune a svilup-
trovano delle espressioni che mostrano il suo disprezzo per le lettere (V. Lett. di S. Greg. a S. Leonardo su i morali di Giob ) converrà dar qualche peso all' antica tradizione: almeno da questi documenti il saggio e non prevenuto let- tore farà il giudizio _, che gli sarà dettato dal- 1 ' intimo senso.
(8) Lib, -2. cap. 4^
SAGGIO SECONDO l3
pargli. Varie furono le cause , die dopo quest' epoca risvegliarono i bei studi . I. Il cangiamento di governo delle città ita- linne. Risorti dalla dura oppressione , e dall' avvilimento in cui erano giaciuti gli uomini sotto il governo feudale , ripresa l'energia dello spirito , cominciarono li- beramente ad esercitarla sopra altri og- getti , e nel contender colle armi , e col- r ingegno contro i loro oppressori, fu po- sta in azione un' insolita forza fisica , co- me morale ; in queste scosse politiche lampeggiarono delle cognizioni , come dagli urti violenti dei corpi solidi escono delle scintille. II. Le città italiane diven- nero commercianti; il commercio suppo- ne i viaggi , e la comunicazione con lon- tani paesi, e perciò 1' acquisto di nuove cognizioni ; V istoria ci mostra in egua- glianza di circostanze i popoli commer- cianti più istruiti degli altri, e i fenicj, e gli egiziani si scorgono dotti , e culti mentre i greci erano barbari. III. Le Cro- ciate , tanto per una parte dannose al ge- nere umano , e che son costate all' Eu- ropa sei milioni di abitatori , furono per r altra utili , portando delle cognizioni in Occidente. I sacri guerrieri passavano da Costantinopoli, e talora yi dimorava-
ì4 t)i:L RIN. DELLE SCIEN. E LETT. no lungamente : esistevano ancora In quella città i languidi avanzi dell'antica greca letteratura trasmessa quasi per e- reditaria successione ai degenerati po- steri: eredità soverchiamente diminuita, ma assai superiore a tutto ciò che era nel resto dell' Europa , e che conteneva dei fondi aurei , e preziosi. Quei che ri- tornavano in Italia erano più culti , e i cittiidini di Pisa, Genova, e Venezia, che vi ebbero tanta parte , riportarono alla patria nozioni , e ricchezze. IV. I libri divennero più comuni peri' invenzione della carta formata pria d.i bambagia, poi dì stracci di lino. I codici in papiro, o in carta pecora , già rari e di un prezzo al- tissimo ^9) , per quel mezzo si molti- plicarono. GÌ' ingegni ebbero accesso ai fonti del sapere, e le cognizioni univer- salmente si accrebbero. A queste cause, che risvegliarono gì' ingegni, conviene aggiungere in seguito il favore dei prin- cipi , col quale animando i coltivatori delle lettere li stimolarono all' onorevol carriera. Vari pontefici meritano siffatta lode, e fra questi Urbano IV che amante dei filosofi, onorò e premiò coloro , che
(9) Marat, diss. 43.
SAGGIO SECONDO l5
in quella età avean meritato nn tal no- me. Ma sopra tutti furono celebrati i so- vrani di Sicilia Federigo II e Manfredi , che distinti nella dottrina al par dei più dotti del loro tempo protessero ogni sor- ta di scienza , e di letteratura . Kiscossi pertantoi^r italiani ingegni dalla'ignoran- za,avean ricominciato a far uso delle pro- prie forze. Si aprirono degli studi inmolte italiane città, alcuni dei quali poi , ma- turati ed eretti alla dignità di Università privilegiate , attrassero una folla di na- zionali , e di forestieri , i quali se non at- tingevano a (juesti fonti la purità delle dottrine , erano almeno incitati ad una terriera , che dovca [»oi ricondurgli agli aurei , e classici esemplari.
GIURISPRUDENZA.
L' arte , che governa gli uomini , che tiene la bilancia di Temi, fu la prima e più coltivata in questi studi nascenti. Finché r Italia fu soeijetta ai re lon£;o- bardi, il loro codice legale dai Rotari , e dai successori re compilato , ne dovea re- golare i giudizi. La parte d'Italia ad essi non soggetta seguiva le leggi romane, ma corrotte. Aveano talora anche i re longo- bardi , e gì" imperatori permesso ad ai-
l6 DEI. RIN. DELLE SCIEN. E LETT. cune città di asare qual legislazione fosse loro in grado: il più delle volte però né queste, né quelle, ma 1' arbitraria volon- tà del conte o del marchese decideva le liti, onde somma esser dovea la confusio- ne nella scienza legale: perciò dagl' ita- liani popoli posti in libertà, la principale e più necessaria facoltà che dovette col- tivarsi fu la Giurisprudenza. Bologna si distinse la prima per la sua università sopra le altre città d' Italia. Circa a die- cimila scolari , la più parte forestieri di ogni nazione , e molti assai illustri la fre- quentarono . Fra questi non dee tacersi l'inglese Tommaso Beket , poi celebre arcivescovo di Cantorbery , e santo; Pie- tro lielesense ec . Ella fu altamente o- norala dal pontefice Alessandro III. che dopo esservi stato professore di Scrittura Sacra , giunto a quell' eminente grado dette con sua lettera avviso formale al corpo dei professori della sua elezione. Una medaglia coniata in questi tempi , in cui Bologna è chiamata matcr studio-^ rum , conferma la venerabile antichità del suo studio (io) .
Lasciando Bologna , e le altre tante
(io) Sarti , e Fattorini, de Claris, etc.
SAGGIO SECONDO 17
università d' Italia, e rivolg^idoci alla nostra Toscana ^ assai per tempo trovia- mo l'esistenza dell'università di Pisa, benché non di quella antichità, che da alcuni si è voluto darle. La lettera del monaco marsigliese al suo abate, da cui vuol dedursi , che alla metà dell' unde- cimo secolo fioriva in Pisa una ceiehre università, (11) non è un sufliciente do- cumento per stabilirla ; giacché la data della lettera dee posticiparsi di più di un secolo , come con irrefragabili monu- menti ha mostrato il padre Corsini nel- r istoria della università da lai comin- ciata, (12^ tra'^ferendosi alla metà del se- colo seguente l'origine di essa. Senza far questioni di parole egli è certo, che nel secolo XIII esisteva in Pisa uno studio composto di giureconsulti , o un collegio di arti, ciocché monta lo stesso. INel me- desimo tempo in Arezzo, in Siena, in Pistoia esistevano dei simili studj. (i3)
^r 1) Grandi epis. de pandec. Cav. Flarnin. dal Borgo, diss. suU' origine dell' univeisisà dt Pisa.
(12) Fabbr. Kist. univ. pis.
(i3) Da un pa=;so di fioffrcdo da Benevcntcx
ì8 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. Ma se le università di Toscana e pel nu- mero degli scolari, e dei professori ccde- rono alla celebrità di quella di Bologna, la scienza legale tanto coltivata in quella città dovette a Pisa un considerabile in- cremento per la scoperta delle pandette, una breve istoria delle quali non sarà for- se discara ai lettori non iniziati alli studi legali. Dalla semplice e ruvida legisla- zione romana delle celebri XII Tavole, falsamente attribuite ai savi della Gre- cia, (14) lino dii'imperator Giustiniano
si deduce che nel 121 5 esisteva uno studio ia Arezzo-. « Cura essem Aretii, ibique in cathedra « residcrem post trausraigrationem Bononiae ego « Roffredus Beneveutanus juris civilis professor « An. dota. 12 io. mens. octobris Proemi i/i « quaest. eie. » Lo studio dovea esser rispettabi- le , giacché vi era passato un professore della più celebre università di quel tempo. 11 cav. Guazzesi ne ha pubblicati aucura gli statuti. V. toui. II delle sue opere.
(14) Che i deputati di Roma visitassero la Grecia nei tempi di Pericle per apprender la scienza della legislazione, e che le leggi di Solone fossero trasfuse nelle XII tavole è stato creduto da Livio e da Dionisio: erano però assai distanti dal tempo , in cui si suppone avvenuto il latto. Questo ha l' aria di favola , quaudo si con.sidera
SAGGIO SECONDO ig
erano rresciute le romane ieggi in an.i immensa farragine , amalgamandosi stra- namente insieme elementi eterogenei, le modeste repubblicane leggi , colle im- periose dei Cesari. Le interpetrazioni dei giurisprudenti non formavano minor copia di \oliirai, e le loro sottigliezze accrescevano le contradizioni, cbe in se- rie sì lunga, e quasi innumerabile di leggi doveano naturalmente incontrarsi. JNel sesto secolo dell'era cristiana , nella de- clinazione delle scienze, lungi dal paese per cui quelle leggi erano state special- mente create, in una lingua straniera alla
il silenzio dì tutti i greci scrittori di quella età , i quali non avrebbero lasciato un' occasione m luminosa di onorare la loro patria ; né è credi- bile che i romani patrizj intraprendessero una lun£:a e pericolosa navigazione per copiare un modello della più rigorosa democrazia. Gibbon , Hìttory (if de e line ecc. cap. ^4 Si pcssono però dire le romane leggi di greca origine , giacché un' esule di Efeso, Ermodoro, coi lumi della greca filoso6a giunto nel Lazio , comunicò le sue cognizioni ai legislatori di Roma , ed una statua gli fu eretta neWoro a perpetuarne la memoria, L^psilio fli Ermodoro è mentovato da Cicerone (Tuscul.)elaitatuadaPliniolib. XXXIV. e. i u
10 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. Grecia. Giustiniano ne immaginò la com- pilazione e la riforma : impresa a cui non sarebbe stato troppo il genio, e l'estese vedute di Cesare unite alla fecondità di Cicerone, ed alT acutezza di Scevola. Dieci dei più dotti legisti , alla testa dei quali era Triboniano, lurono incaricati di compilare le leggi, che nei tre codici ermo- geuiano , gregcriano, e leoiosiano erano sparsele di farvi quelle mutazioni che pia credessero opportune. Questa compilazio- ne fu chiamata il (i?o<^ice:ad:iltridiciassette i(iureconsulti, ai quali presedcTa lo stesso TribonianOjfu commesso di raccogliere gli scelti pareri , e le decisioni dei giurispru- denti più illustri, e queste riunite, e di- geste in cinquanta libri furono appellate pandette o digesti. Per ultimo, da Tri- boniano, Teofilo , e Doroteo , furono com- pilate le istituzioni, mentre le nuove co- stituzioni, che in seguito ebbero luogo furon chiamate novelle. Si è asserito che neir universal naufragio delle scienze e delle lettere sparite le pandette fossero dissotterrate liai pisani nell'anno ii35, come abbiamo notato a suo luogo, (c5) nel saccheggio di AmalG , e che in tempo
(to) Lib. Ili cap. 2,
SAGGIO SECONDO li
di tanta ignoranza avessero il discemi- inentodi apprezzare e portare alla patria quel prezioso codice, come un rispettdbil troico. Non è tempo né luogo di rinnuo- vare una disputa insorta tra due celebri professori di quella università, uno ma- tematico die portò la luce e precisione della sua arte in una scienza non sua , e uno giureconsulto, che ba meritato tutta la fiducia di un gran sovrano, ed ha go- vernato per tanti anni un gran regno . Tiriamo un velo sulle animosità , che ac- compagnarono questa disputa, e ricor- diamoci solo , che le loro controversie banno arricchito di nuove cognizioni la legge, e illustiata T istoria di quella ri- spettabil città.
Dopo tanta luce, e copia di erudizione sparsa sulla questione dai disputanti, (i6) non possiamo, che por davanti ai lettori alcune , brevi riflessioni. Gli argomenti contro r invenzione delle pandette in A- malfl son tutti negativi , tratti cioè dal silenzio degli scrittori contemporanei ,
(i6) Vedi i vari scritti del Grandi, Tanucri, Antonio di Asti (dell'uso e autorità della Rafjion Civ. } e specialmente Brenkemann.hist. Pandect.
3*
22 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. cte descrissero la spedizione. La Cronica pisana che l'asserisce può riguardarsi posteriore di circa un secolo, e di mag- gior tempo ancora il caliginoso j)oem.a di fra Iianieri dei Granchi. (17) Lasciamo da pai te la contrastata cronica di casa Griffi, la donazione delle pandette fatta solennemente da Lotario ai pisani , con tutte le altre circostanze, inventate pro- bahilmente in appresso per nobilitare quell'acquisto ; e consultiamo solo il buon senso in questa disparità di opinioni. Se si tolgano dal racconto le pompose cir- costanze, di cui si è voluto abbellirlo, e clie non sarebbero state taciute dai coevi storici, niente è più naturale del loro silenzio sopra un libro recato a Pisa tra r altra preda, e restato forse per qualche tempo senza il dovuto pregio. Dall' altra parte egli è certo, che i pisani possede- vano poco dopo quel tempo il prezioso manoscritto, onde o lo portarono di A- malfi , o lo tenevano da tempo immemo- rabile; e solo nel risorgere dei legali studi si rese più noto. Ma se si vuol recar gloria ai pisani dal possesso di un autorevole manoscritto , non è ella maggiore l'averlo
(1;) Marat. Pier. ital. 5. v. i i.
SAGGIO SECONDO 23
possecìato innanzi al sacco Amalfitano? JNiun motivo aveano perciò d'inventare una fa-v't>k^ ed è iissai probabile, che la Cronica anonima, e Ranieri Granchi non scrivessero che la semplice e pura tradi- zione ,• onde, ad onU> di ogni contradizione, si rende assai verisimile i' antica istoria, e potrebbe anche essere avvenuto il fatto, come la fervida fantasia del Brenkmanno ha immai^iuato. (i8) INon cosi può soste- nersi,che la scienza legale racchiusa nelle pandette fosse ignota all'Italia avanti a queir epoca. Fra gli altri documenti ti è quello d'irnerio, che fino dall'anno 1102, ]e avea spiegate nelT università di Bolo- gna ;(iq) onde pare, che qualche altro esemplare o intiero, o difettoso gii esi- stesse. Ma scoperto il pisano, tutti gli occhi a quello si volsero , si riguardò con singolare reverenza , e vi ha buon fonda- mento di credere , che da esso in seguito tutti gli altri sieno derivati. (20) La trop-
(18) Hist. pandect. lib. 1 . e. 8.
(19) Grandi, de pandect.
(20) Tutti i manoscritti ripetono gli errori slessi del copista, esistenti nelle pisane pandette e vi si trova la medesima trasposizione di alcune carte ( Brek. Hist. pandect. ) onde si può asse- rire , che il pisano è il padre di tutti gli altri.
34 DEL RIN. DELLE SCIEl^. E LETT, pa venerazione, e quasi apoteosi , per cui il Poliziano credette o volle altrui per- suadere esser quell^ esemplare scritto dalla mano dello stesso Triboniano, ec- citò contro del libro i detrattori di quel gran letterato, che ne cercarono con mi- croscopica critica i difetti; ma quantun- que l'esagerato sentimento del Poliziano non sia vero, il comune dei dotti legisti r onorò come superiore ad ogni altro col- le più superlative lodi. (2 i)La repubblica fiorentina nella conquista di Pisa lo cre- dette un trofeo degno della sua vittoria. In tempi, nei quali l'autorità degli anti- chi giurisprudenti avea molto peso, vi corrispondeva una proporzionale stima del pubblico. Il rispettabile manoscritto fu visitato con lungbi peregrinaggi dai dotti di Germania, ed era mostrato in uq real palazzo custodito in preziosi invilup- pi. (11) JNè solo sì ragguardevol deposito jdi scienza legale si diffuse in Pisa; m* P università di Bologna , che era la più. celebre, ne ricevette dei professori, che recarono ad essa noti poco lustro. Dopo
(2 I ) Vedi Brenkro. J»idicia df pand. Floren. (22) Si mostrava nel palazzo de' Pitti, ora trovasi lidia libreria Laurenzidoa.
SAOGIO SECONDO 25
le ingegnose riflessioni , e l'erudite notizie recate dal dotto Cav. Così nelT elogio del Bulgaro , (23) pare si possa asserire , che quel dotto legista , che tanto onorò l'uni- versità di Bologna, fosse pisano. Per la sua eloquenza fu appellato Bocca cU oro; più stimabile ancora per l'ingenua fran- chezza con cui , interrogato sulle prero- gative imperiali, parlò il linguaggio della verità ad un sovrano potente , e tanto di quella geloso, cioè Federigo I. imperato- re. Nondimeno fu da lui assai onorato, e molto più dalla testimonianza del pub- blico dopo la sua morte, clie per render- ne a un tempo venerabile la memoria, e rammentare al pretore i sublimi doveri del suo im.piego, volle, che questo ren- desse ragione nella casa di Bulgaro, con- vertendola nel tempio di Temi, ed ordi- nando in seguito, che sopra di essa , come antica abitazione delle scienze, l'univer- sità si fabbricasse. (24) La scienza legale, e quella celebre università durarono a ricever nuovo lustro dai professori tosca- ni; ma pochi giunsero m questo tempo
(28) Meraor. Ist. degli illus. pisani. (24) De clariss. archigymo. Bououiea. profess. p. 1 . Sarti e Fattorini.
lG DEL Ri:-N. D'ELLE SCIEN. E LETT. alla gloria dell' Accursio. Nato in un tìI- laggio detto Bagnolo, cinque miglia di-» stante da Firenze nel 11IS2, riscliiarò il tenebroso caos della scienza legale. Le cbiose o interpetrazioni delle leggi erano stranamente cresciute, e la loro contradi- zione e oscurità frequentissime. L'Accur- sio cercò di portare il filo di Arianna in questo intrigato laberinto. Confrontate tutte le cbiose , ne scelse le migliori, e vi aggiunse le proprie. Egli ebbe un piacere cbe non è dato ad alcun legislatore, quel- lo cioè di veder seguite dagli uomini le sue regole legali , senza la forza. Non solo fu con universale applauso accolto il suo lavoro, ma ove tacevano le leggi si sotto- misero volontariamente i giudici al sen- timento di questo gran legista , (-25) che senza altra autorità di quella che dà la ragione, durò a regolare per circa a tre secoli la giudicatura; né ha ceduto, die all' Alciato e ad altri legisti, che le co- gnizioni ognor crescenti resero più dotti e più culti, e che di più erudite, ma for- se non più giuste interpetrazioni, hanno
(25) De clar. archig5Ti]n, Bononicn. profcss. par. 1.
SAGGIO SECONDO 27
stranamente accresciuto quei libri. {36} Dopo on padre tanto illustre appena me- ritano di esser nominati i tre suoi figli Francesco; Cervotto, e Guglielmo, chiari anch'essi nella medesima scienza. Fran- cesco però il maggiore, professore nella stessa università , in gran parte erede della celebrità paterna, con filiale zelo seppe difenderla contro gli attacchi di un altro illustre professore, 1' Odofre- do, dopo la di cui morte restò senza contrasto il primo nella scienza lega- le. (27) Fu altamente onorato da un feroce re d'Indiilterra nemico delle Mu- se, e sterminator dei poeti, Eduardo I di cui fu per otto anni consigliere, (^28)
(26) Su quest' interpelri , e su queste volu- iràiiose iuterpelrazioni ha sparso il suo com ico sale il satirico fraacese Boileau [Lutrìn chatit. 5.) descrivendo la battaglia fatta coi libri
a Jlors ìLseaaiiìt d'unlavge Infortiate « Grossi de viiions d'Accouvss et d'Alclati
(27) De claris Archig. etc.
(lìS) Eduardo I avea conosciuto Francesco nel suo viaggio in Italia. Questo re, dopo la conqui- sta della provincia di Galles, ordinò che tutti i Bardi ossia poeti di quel paese fossero posti a morte , perchè coi loro marziali cauti eccitavano
sS DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. e che ebbe la disgrazia di essei'e insieme con Prisciaiio, Brunetto Latini ed altri letterati posto nell' inferno da Dante , per un vizio , che la natura aborrisce , e il pudore non osa nominare. (29) Miglior trattamento ebbe da questo poeta Benin- casa di Arezzo ossia da Laterina, che fu posto nel purgatorio : rinomato spositore delle leggi, indi giudice in Siena, fece un' immaturo fine per le mani di un ce- lebre assassino di quei tempi, Ghino di Tacco , (3o) il di cui fratello avea con-
i popoli alle armi , ed alla ribellione. V. la su- bliiue Ode di Gray, e le maledizioni poetiche date a quel re. Ruin Geize the Rultess Ki/tg. (29) Dante, Inf. cant. » 5. (do) « Quivi era 1' aretin, che dalle braccia « Fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte « E r altro che annegò correndo a caccia.
Purg. Cant. VI, L'audacia di questo assassino , e la debolezza del- la forza pubblica, si scorge in questo avvenimen- to . Era Benincasa da Siena andato a Roma a esercitarvi l'impiego di auditore, o senatore. Ghino coi suoi sgherri 1' assali , mentre sede- va in tribunale tra grandissima folla, e uccisolo, lo gettò a terra dai gradini , e se ne partì senza contrasto ; aggiungendo altri che gli recise la testa, e con essa fìssa iu un'asta traversò Koau.
SAGGIO SECONDO 29
dannato alla morte. Dino di Mugello Del- l'anno 1284 accrebbe nuova luce alla giurisprudenza dell'Accursio , giacché i veronesi fecero un decreto, che ovunque rnfincasse l'autorità delle Ieg;^i,o la chiosa dell'Accursio, fosse seguito il sentimento di Dino. Si distinse egli nella sacra, e pro- fana giurisprudenza : chiamato a B.oina da Eo'.iiffizio Vili a regolar le decretali , si lusingò della porpora , ma deluso , ri- tornò a Ila sua letter;iria quiete in Bologna. Dì Accursio, e di Dino lu scolare un altro celebre toscanOjCinodiiPistoia, professore ancor esso o in Boloi^na, o in Perugia, (*j CLi vuol lodarlo come legista può mo- strare un suo scolare, che ebbe tanta fa- ma, cioè Bartolo, e i voluminosi suoi co- menli al codice di Giustiniano; ma questi insieme con tante dotte fatiche dei suoi maestri, e scolari sono cadute nell'oblio, e di Gino non ci resta ,che la fama di gentile poeta, autenticata da qualche sua produ- zione,e da ila stima ed amicizia delPetrarca.
Vedi Cijàt. Landino. Cuin. di Dante , Benvenu- to da Jiiiola e Girolamo Gi^li presio il Gianni, istor. del Decani,
(*; V'.Merriorie diCinodel prof. Ciampi ora pubb. Pign. T. K 4.
5o DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT.
La legislazione ecclesiastica ancora ri- cevette in questi tempi da un toscano forma ed ordine. Fu esso Graziano, nati- vo di Chiusi , e monaco in San Felice ia Bologna . Esistevano prima di lui altri collettori ; fra questi aveva acquistato una infame celebrità colui , che col nome d'Isidoro Mercatore o Peccatore,alla me- tà del secolo IX spacciò le false Decretali attribuite a Benedetto Levita della Chie- sa di Magonza,- parimente lo aveano con miglior fama precedutoBonchard vescovo di Worms, e Ivone di Chartres; ma Gra- ziano gli superò tutti. Ridusse in miglior forma la sacra giurisprudenza , e ordinò in un corpo regolare il dritto canonico ; spiegò l'oscurità di alcuni canoni , o cer- cò di conciliarne la contradizionc. La sua opera si conobbe dal pubblico probabil- mente r anno 1 14^, e per molto tempo si riguardò come classica . Fu il suo au- tore uno dei più dotti uomini di quel tempo per testimonianza anche di per- sone non use a dar gran lode a quel seco- lo, e a così fatti scrittori (3i) . Nondi- meno gli si rimproverano molti errori, egli ha considerato come autentiche, e
(3i) Euciclop. artic, Decret.
SAGGIO SECONDO Si
fatto USO delie felse decretali, e sì accusa di a vere alterato gli scritti di San Leon e, San Gregorio , ed altri Padri, aggiungen- dovi o togliendovi , per adattare i loro sentimenti a quell' apocrifa dottrina ; si dice aver osatola stessa malafede muti- lando i canoni , o le leggi per sostenere le pretensioni dei giudici ecclesiastici . Questi difetti essendo provati meritano dei veri rimproveri, non già quelli di mancanza di critica, che egli deve alla barbarie dei suoi tempi. Si è preteso an- cora, che Graziano non facesse conto del- la confessione auricolare, e sostenesse ^ che basta la confessione fatta a Dio col core ; ma un illustre pisano , che si di- stinse altamente nello studio canonico, e in quello delle lettere, che professore in Bologna ebbe l'onore di contare fra i suoi scolari Innocenzio III, Uguccioiie, o Tigo- ne vescovo di Ferrara ha giustificato Graziane (3i) . La fama di questo cano- nista ha durato a splendere fino nel seco- lo XVI con tal face da incomodar gli oc- chi di Lutero, che gli fece l'onore di fa- re ardere pubblicamente la sua opera.Un altro toscano di Pontormo,il cardinal
(32) De Claris. Archig. Bonon. Prof. p. i.
^7. DEL RIN. DELLE. SCIEN. E LETT. Luboraiite, alcuni anni dopo(33) fece uria nuova compilazione ^34) . Ma questa ed altre si perderono presto nell'oblio a fron- te di quella di Graziano . Se la celebrità ottenuta in questo secolo , senza /asciare alcuna testimonianza del proprio merito, acfjulsta un diritto di esser nominato nel- r istoria delle lettere , non è da passar sotto silenzio Grazia aretino , chiarniìto per la sua perizia maestro delle decretali, onorato d'importanti commissioni da due pontefici , eletto patriarca di Antiochia, e sommamente encomiato ai suoi tem- pi (35) .
Pare , che la Toscana fosse destinata a produrre i ])iù illustri canonisti: ninno cer- tamente nei!' istoria di questa giurispru- denza è stato giudicato maggiore diGiovari- ni di Andrea mugellanorsia egli nato in Bo- logna da genitori mugellani (36) , o nel
(33) Ann. i 182.
^34) Negri , Scritt. Fior.
(3-6) Pancir. de dar. Irj^uin Inter, lib. 3. e. I I. Sarti , e Fattorini , de claris, etc.
(36) Che i genitori fossero mugellani , non tì è alcun dabbio/V. Filippo Villani Fioren.Illus. e Domeriio AretinoJ;che sia nato a Bologna, co- niocre-de ilTiraboschi non mi par cosi cliiaro^iac- che da tutto quello che riportarsi deduce che Gio-
SÀGGIO SECONDO 33
Magello stesso; debba i suoi natali a le- cito matrimonio, o sia figlio dell'amore, può riguardarsi come toscano in ogni maniera . La stima, che di lui si ebbe , rilerasi dagli onori che gli si fecero, dalle splendide ambasciate , ìu cui fu irapiega-
yanni all' età di anni otto era in Bologna , ma non eh' ei vi fotse nato: è vero che il Villani non parla precisamente , che sia nato in Mugel- lo, ma dopo aver nominato i genitori mugellani, pare, eh' ei non abbia creduto necessario di ag- giungere nato anch'esso in 3Iugello. Se a Filip- po Villani fosse slato noto , che Giovanni era nato in Bologna , non avrebbe probabilmente mancato di aggiungerlo , come qualunque sensa- to scrittore suol fare , quando i genitori sono di un paese , e i Ggli son nati m un altro. Debole è r argomento del Tiraboschi , eh' ei sia nato in Bologn» , perchè nel racconto , eh' ei fa di se 5tps?o , in cui smentisce chi asseriva che era fi- glio di un sacerdote, non nomina mainò Mugello, né Toscana , ma solo le chiese , e le torri di Bologna. Egli, posto che nascesse in Mugello , era stato condotto a Bologna prima degli otto anni j onde appena aver poteva idea dei luoghi della sua nascita , ed in questo racconto non ca- deva mai in acconcio il jiominargli se idea glie- li'era rimasa.
*4
34del t\in. d^i.t.e scien. e lett. to (37), e dalle ricchezze acquistate. Eb- be vari figli ; ma le femmine Novella , e Bettina hanno ricevuto dagli storici non poca celebrità; e la prima doveva attirare più copiosa quantità di scolari che suo padre istesso, quando montando in cat- tedra ne faceva le veci, se al sapere le- gale univa uu volto cosi leggiadro, come ci narra 1' istoria : ed il velo , che si get- tava allora sul viso per impedir le distra^ zioni degli scolari . non so se fosse capace di produrre 1' effetto (38) . L'università di Pisa contò Andrea tra i suoi professori (^9) . E' per lui onorevole 1' amicizia del Petrarca, specialmente perchè quel gran- d'uomo non apprezzò gran fatto ne i le- gisti , né i medici del suo tempo . Varie opere canoniche furono da lui scritte . I comenti ai sei libri delle decretali sono F opera sua più celebre . La sottigliezza delle interpetrazioni ne forma il merito principale . Il nome singolare di Novelle
(37) Gherard. Rerum, ital. scrip. voi. 18. Presso Io stesso si leg;je: ,, Famosissiinus Doctor ,, Bononiensis, qui in mundo non habebat simi- ,, lem , videlicet Dominus Joannes Andreae. ,,
38) \Voìf. de Mnlier. erud.
(39) Fabbrucci e Fabbro» i.
SAGGIO SECONDO 35
dato a quest'opera ili un tributo ni nome della saa dotta figlia: le giunte allospec- cliio di Guglielmo Durante , e il trattato dei giudizi sono altre sue opere , nelle quali i moderni stenteranno a trovare i motivi delle superlative lodi date dai suoi coetanei a questo legista . Fu come tanti altri illustri uomini vittima del fatai con- tagio del 1348 .
Lasciati da parte molti altri che in To- scana in questo stadio si distinsero, forse raacsior merito reale, bencliè minor fama ebbe un cittadino fiorentino , Lapo da Castelloncliiojcbe nelle civili discordie di Firenze acquistò una fama eqnlvoca , e che r istoria ci dipinge come uomo senza carattere, pronto a seguire il partito, che gli olìeriva maggiori premi; sì che non ritrasse nella sua patria,che danno e ver- gogna, e il di cui esilio precedette la fu- nesta sollevazione dei Ciompi (4*^) • Egli avea nutrito il suo spirito della lettura dei classici allora noti; facea le sue delizie degli scritti di Cicerone , dei quali era diligente ricercatore , e a Ini dovette il Petrarca , suo amico , 1' Orazione in di- fesa di Milone , le Filippiche, e le islitu-
(4o; Lib. III. cap. 14.
36 DEL RI^. DELLE SCIEN. E LETT. 2Ìoni di Quintiliano. INon vi era poeta al- lora noto , che non fosse per le sue mani (4ij '• COSI egli potè rivestire di qualche amenità le nude , ed orride spine della giurisprudenza , ed il suo amico Petrar- ca lo rimproverò più volle di avere ab- Landonato gli ameni studi per le oscure, e sovente sofistiche sottigliezze legali (42)- Per scanni in circa fu professore di scienza canonica nello studio di Firen- ze , e incaricato frattanto di molte ono- revoli ambasciate a papi , ed a repubbli- che : cacciato poi dulia patria , e rilegato a Barcellona, poco curando gli ordini del popolaccio fiorentino , ricovrossi in Pa- dova , ove fu eletto professore ad onta dei contrari offici che la repubblica fio- rentina per pubblica lettera (43) gli fece. Kon minor cognizione, e destrezza avea uegli afiari politici che profondità nelle lettere; onde nel passaggio di Carlo di Un- gheria, detto Carlo della Pace. ne guadagnò l'animo; e andato con esso lui a Roma si adoprò tanto col Papa Urbano VI che lo indusse a coronar Carlo re di Napoli, del
(4») Celucc. SalMl.
(42) Mfhus, vita di Lapo di Casteflonchìo
(4^) Mthus, vit& Ambr. Carnai, p. 241.
SAGGIO SECONDO 37
cìie una onorevole ed infailibile testimo- nianza ne dette ii papa stesso,asserendolo in pubblico concistoro ; e caro ad ambe- due , creato consigliere dal re Carlo , e senatore dal papa , morì in quella città pacilica mente (44) •
Ai canonisti si dovrebbero aggiungere i teolo"i di questa età, ma V unione delia teologica e canonica dottrina , che era in alcune università , ci dispensa da parlar- ne di più : in oltre la scarsità dei profes- sori j la barbarie, in cui era involto Io stu- dio delle scienze sacre , e la brevità del hostro istituto non ci permettono di trat- tenerci soverchiamente ; onde ci basterà nominare due Pisani assai chiari in quel- lo studio . Il primo è Bernardo da Pisa , che si fece ammirare pel suo sapere teo- logico nella scuola tenuta da lui in Pari- gijdel di cuisapere ed erudizioneeun au- torevole testimonianza la lettera di Pie- tro, cardinale di San Grisogoiio, ad Ales- sandro HI (45)-L' altro è Pandollb da Pisa ( detto anche cardinale Mosca ) sieno , o no la stessa persona come molti sostengo- no.Ei vuoisi veramente riguardare piut^
r^^) An. i3Si.
(43) Bouby,hist. Uuiv Par*
S8 DEL KLV. DELLE SCIEN. E LETT. tosto come scrittore di storia ecclesiasti- ca , giacche a Ini si debbono le vite dei pontefici, probabilmente da Gregorio VFI fino ad Alessandro III (46) . Meditava di scrivere ancor le istorie della sua patria, o almeno della celebre conquista dell' I- soleBaleari; mao non l'eseguì, o gli scrit- ti si sono perduti. La sua varia dottrina , specialmente nei studi sacri, ci dà il di- ritto di numerarlo anche fra i teologi . iNon fu un ozioso letterato , ma servì la religione, e la patria in interessanti pub- blici affari.
Molti altri dotti teologi pisani, e fiorenti- nì,come Bartolommeo da San Concordio, il Beato Giordano , Cavalca , Passavanti sa- ranno più acconciamente nominati fra gli eleganti scrittori; giacche di questo pre- gio specialmente sopravvive ancora la fa- ma loro .
I\I E D I C I N A
Che la medicina fosse barbara in Italia in questo tempo, non farà maraviglia, giacché lo erano più o meno tutte le scienze sue ausiliari. Ma i tempi barbari,
(46) Mem. d' illun. Pisani T. 4. Elogio del Cafd. AIosM.
SAGGIO SECONDO 39
come i più culti , lianno contati medici, che sono stati riguardati come prodigj dell'arte. Quanta era la povertà dì co- gnizioni medico- fisiche negli antichi tempi ippocratici! quanta è la ricchezza dei nostri! La nototnia, cb' esser dovre}>- Le il fondamento di quella scienza , ap- pena si conosceva, vietando la religiosa superstizione il taglio dei cadaveri : la botanica , e l' istoria naturale poveris- sime, e della chimica appena noto il no- me. Ciascuna di queste è divenuta sì co- piosa ai di nostri , che appena basta la vita di un uomo a ben conoscerla. Oual differenza ! Eppure se Ippocrate tornasse ai di nostri colla sua povertà di cogni- zioni naturali, appena, credo, vi avrebbe persona , che esitasse un istante a sce- glierlo per suo medico. I semplici ed aurei suoi scritti sono ancora il codice primario, che dà legge all'arte; e tolti due o tre medicamenti, che il caso, non il ragionamento ha trovati , i metodi ip- pocratici sono ancora la norma dei savj medici , come lo erano tremila anni so-< no. Lo che se è vero, ne segue una fatale e dolorosa consegueuza , che le copiose Maturali cognizioni dei medici moderni , le quali a doma n tanto le loro teorie , e
4o DEL RIN. DELLE SCTEN. E LETT. rendono al letto dei inalati i loro discor&i SI eloquenti, sono inutili, almeno ai ma- lati. Quelle cognizioni son belle e vere , l'applicazione di esse al corpo sano o malato, alla natura delle malattie, ed alia loro medicatura è ciò che chiamasi intdica teoria : questo passc«ggio è un salto che va spesso dalla luce alle tene- bre , mancando un sicuro anello di co- municazione , che unisca dimostrate ve- rità ad altre di eguale evidenza. L'anello è slegato, è perciò il ragionamento , che indi ha piincipio , fluttuante. In queste tenebre sarebbero perdon^ljili , anzi lo- devoli, le modeste congetture, ma si parla per lo più o delie cause delle sane luuzi'jni vitali, o di quelle del loro scon- certo, con una specie di matematica si- curezza (47)- cosi almeno parlano i si- stemi o ipotesi incdicbe , a provare l' in-
(4;) b' autore c-nnosco molti dotti medici, che lontani di adoprare siffatto linguaggio, non usano , che una nobile dubitazione , che è il segno più sicuro della vera cognizione dell'arte. Conviene ancora esser discreti , giacché quel linguaggio è necessario colle persone idiote, cioè alaicno con tre quarti del genere umano. \q, stesso Buhetave^ uno dei più gran raedici,
SAGGIO SECONDO 4r
sufìsistenza delle quali basta l'osservare la rapidità con cui nascono^ e muoiono, e in qual numero si sono in pochi anni in tanta luce di filosofia presso di noi saccedute; non vi essendo, die uno spirito itnbecille, che possa creder vera 1' ultiaia. Il vene- ra bil vecchio di Coo o^servò le qualità delle malattie, e gli effetti dei medica- menti, poco curando le teorie, e ridu- cendo la medicina a quello dovrebbe es- sere, ad una specie di fisica sperimentale. Quel poco, che l'arte può mostrare di vero e di solido, devesi a questo metodo. I più saggi medici di tutti i tempi hanno seguite le regole fino dall'età d Ippocrate stabilite , e perciò in tutti i tempi vi possono essere stati dei medici valenti , ad onta delle più stravaganti teorie, se è vero che qaeste sieno tanti fisici ro- manzi , purcbè non influiscano sulla me- dicatura. Non è meraviglia perciò se an- che i barbari tempi , dei quali ci occu- piamo, abbiano vantato dei medici som- mamente riputati. La medicina d" Italia
pratici , insegna ad usare una specie di ini-
poitura ai giovani che cominGiaau a mciiicare.
PUn, T. V. 5
4ci DEL Rl^^ DEL?,E SClEX. E LETT.
eli questi oscuri secoli se non ebbe intie- ramente origine dalla scuola araba, m trasse medicamenti , e teorit^. Fino dal secolo iX fioriva la scuola sa'lernitana (/^iy). E' incerto a chi debba la sua nascita. Il monastero del Moirte Cassino per un tem- po non sdtii^nò quest' arte , e credettero i suoi individui con molta saviezza di po- tere impiej^are il tempo, che loro avan- zava dopo le devote preci , in sollievo dell'afflitta umanità. Fu nei tempi più antichi co!tivtit-i da essi utilmente la me- dicina ; e la vicinanza con Salerno forse comunicò in quella città le notizie me- diche a persone , che sciolte da ogni do- •vere ecclesiastico, potevano dar tutto il tempo a siÉfatto studio. Forse Costanti- no aiiricano , clie come gli antichi greci avendo viaggiato in Oriente , e trattenu- tosi a Babilonia, avea appreso le fìsiche, e mediche cognizioni , tornato dopo 3^ anni di viaggio a Cartagine sua patria ^ ed ivi pel troppo sapere calunniato come mago , e minacciato di morte , rico- vratosi a Salerno, vi portò o vi accreb])e
(4S) Il sig. Na|X)li Signorelli ha provato, che la sua /uiidazioiie uuii deve»! a^ii Arabi.
sAGOfo 5;t:€o:vDO 4^
le mediche notizie, e ne promosse lo sta- dio (49)' Comunque sia , la scuola sale/r- nitana ebbe gran credito : per molti secoli sono state familiari le regole di sanità di detta scuola scritte in barbari versi la- tini (5oj , bencbè molte di esse false e capricciose; ne vi è voluto meno del cor- so di vari secoli, per gettarle nel!' oblio. Da questi tonti la medicina italiana e perciò la toscana ebbe origine. Molta ce- lebrità e poca dottrina è a noi restata dei medici toscani di quei tempi. Arezzo può mostrarne molti, e prima di ogni altro Faricio monaco , illustre nella medicina fino dal principio del secolo XI! cbe pas- sato in Inghilterra e divenuto abate del Monastero di Aberdon , fu «ssai in pre- gio pel saper medico ai sovrani di quel regno (5i). Verso la metà del secolo XlU liioitissimi medici toscani illustrarono
(49) Il Fratello del re di Babilonia venu^^o a Salerno lo riconobbe , e lo raccomandò al famoso Roberlo Guiscardo : prese poi Costantino l'abito nel monte Cassino : si esercitò nella me- dicina , e tradusse molte opere dall'arabo.
(50) Rrobabilmente ^a Giovanni di Milano, (5i) Will. Mahnesbuiy de gestis Foalif.
Ànglor. L. 2.
44 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. l'università di Bologna : poco innanzi a questo tempo probabilmente la medicina SI separò dalla cbirur^ia, e i saoi proft:s- sori per siffatta distinzione presero il no- me di medici fo^). Dopo Pvnniero areti- no, Lorenzo e Bocca pistoiesi, si distinse assai in queir università Sinigardo are- tino : ad onta dei divieti canonici , egli unì le primarie dignità ecclesiastiche colia medicina ; fu non solo canonico di Faenza, ma arciprete di Bologna, di- gnità solita darsi alle principali lamiglie; come tale intervenne al concilio provin- ciale di Ravenna , e ad altri interessanti atti ecclesiastici: acquistò colla medicina infinite riccliezze, e i"u riguardato come uno de' primi luminari di qtiella univer- sità. Teneva appresso di se un altro are- tino suo aiuto, e speziale detto Venezia" no che anche dopo la morte di Sinigardo esercitò con plauso la medicina.
iSon rammenteremo che i nomi di Tommasino cortonese, di Bartolo (53) , € jNlichele da Montehuoni fiorentini , co-
(52) Sarti e Fattorini De claris etc. par. 5. ' (53) Fu medico del re Enzo prigioniero in B lociiia , come lo furono Eliseo sauese , e il celebre Taddeo.
SAGGIO «KCCNDO 45
ine rli Ungelien pratese, di Eliseo, e Guido sanesi , e di Guido da Gello pisa- no, tutti «!Ì distinsero in quella universi- tà . roa niuno £;odette mai nella sua vita tanta celebrità , ed acquistò ricchezze al paro del fiorentino Taddeo Alderotti. Se Ja sua nascita fosse illustre , dalla stirpe patrizia degli A.lderotti,o bassa a segno , di avere egli stes<;o esercitato il mestiero di venditor di candele presso Or s. Mi- chele (543 7 ^o" è ben chiaro. Fino a trent anni non dette alcun segno di ta- lento. A^llora l'ebete suo spirito risve- gliossì , e portatosi ali università di Bo- Jogna divenne il più celebre medico del suo tempo. Fu debitore della sua fama probabdraente ad una novità che intro- dusse , o piuttosto rinnovò in medicina , cioè la tporia. Fra prima di lui , nei più barbari tempi ristretta quell'arte alle regole stabilite dalle anticbe , o più re- centi o'^servazioni , senza il lusso delie teorie. Semplice, e severa, ma probabil- mente più casta, e meno pericolosa esau- riva presto i suoi precetti: la pompa , e l'eloquenza della cattedra non potevano
(54) Villani, dei Fiorentini Illustri.
5*
46 DEL BIN. DELLE SCIEN. E LETT, esser contente della secca brevità con- sueta. Già si è veduto , che separandosi dalla medicina la cbirurgiaj avean preso i medici l'aggiunto di lìsici ; e fu proba- bilmente allora , cbe si cominciò a teo- rizzare (55} : ma Taddeo è riguardato come il principa'e, cbe aggiungesse le tisicbe spiegazioni dei morìjosi fenomeni, e dell'azione dei medicamenti ^^quali spie- gazioni!) tratte dalla tenebrosa Blosotìa di quel tempo. Il suo sapere medico può essere dai moderni rivocato in dubbio, ma le sue ricchezze, e la universale stima son certe. Comentò Ippocrate, e Galeno, applicando la barbara, e oscura 6losofia di quell'età alle semplici e vere osserva- zioni di quei savi medici , e fabbricando così delle strane teorie. Egli però fu ri- guardato, coijie un oracolo. Coetaneo dell'Accursio, acquistò tanto pregio nella medicina, quanto quello nella giurispru-» denza, e le sue chiose medicbe furono ri- spettosamente obbedite, come le legali dell'Accursio : i suoi scolari stessi gode- rono straordinari privilegi. Appellato al- l'esercizio pratico da papi, e da sovra- ni , poneva un eccessivo prezzo alla sua
(55) Saiti et Fatt. de clariss. etc. par. 2.
SAGGIO SECONDO 47
opera : gì' infermi si sottoponevano alla legge, e cosi Taddeo acquistò immense ricchezze (56). La scuola medica di Tad- deo si continuò in Dino del Gurbo fioren- tino, suo scoiare (.J7). Professore con molto credito in Bologna , fu di là obbli- gato a partirsi , o dall' interdetto dato a quella città, o dali' invidia che lo perse- guitava. Professò a Siena , indi a Padova la stessa scienza : scrisse dei commentari
(56) Vedasi Filip. Vili. F. illustri, Saili ec. Si possono leggere questi aneddoti , o veri o falsi nelle citate opere, Naira il Villani (Vit. dei Fior, illus.) che essendo malato il papa , e bramando per medico Taddeo , pattuì usti- nataraente questo non meno di 1 00 scudi di oro al giorno per suo salario. Maravigliossi il papa: si accordò però, e rimproverò la sua durf ^za a Taddeo. Egli rispose , che altri prin- cipi e sienoii non lo avevan pagato meno di 5o scudi al giurno , onde a lui , che era il primo sevi ano non dovea parer troppo il prezzo di 100. Guaiito il papa o per gratitudine , per purgarsi dal sospetto di avarizia, gli regalò 100 mila ducali : altri dice 200 mila, altri 10 mila , che è più probabile. Il catalogo delle sue opere si vede plesso i più volte citati. Sarti, e Fat- torini ec.
(5-) Filipp. Villani, Fior, illustr.
all'opere di Avicenna, ed al trattato d'Ip- pocrate snlla natura del f<^to, una epistola sul la cena, e sul pranzo. Della sposizìone della canzone di Guido Cavalcanti sulla natura di amore, si comprende che agli studi severi uni l'amenità delle lettere: il suo nome però è oscurato pel sospetto di aver contribuito alla condann ! del disgra- ziato Cecco di Ascoli, arso in Firenze. Era costui un dotto uomo di quei tempi, pro- fessore di astrologia e Glosofia in Bologna, ed anche poeta. Sarebbe difficile lo sta- bilire con precisione qual genere di eretica opinione gli fospe apposta: l'astrologia non era un delitto, professandosi pubbìi- camente nelle università ; onde pure chp. l'invidia al suo sapere, che in quei tempi dovea parer grandissimo, eccitata forse dal suo irritabil carattere, e la per<;eca- zione di Dino lo conducessero a quel tra- gico fine. Tutto ciò può rilevarsi dal rac- conto di Gio. Villani sopra Dino, e Cocco. Ch'euli negasse il libero arbitrio nei li- Lro da lui pubblicato sulla sfera , o sia i comenti suoi sulla sfera di Giovanni da Sacro Bosco non par naturale, giaccl è nel suo poema V Acerba anzi accusa Dante di questo errore , e riconosce chiara- mente il libero arbitrio, e nella sentenza
SAGGIO sECOTsDO 49
dell' Inquisitor tiorentino pubblicata dal doti. Lami non si parla di tal delitto. Il carattere strano e invidioso di Cecco si scorge in alcuni tratti deW Acerba, ove vuole attaccare i versi di Dante, e con non molta modestia porsi sopra di lui, ed ha la disgrazia di criticare appunto uno dei più sublimi pezzi dell'italiana poesia, quello sul conte Ugolino: ecco i suoi versi :
Qui non sì canta al mod» delle rane , Qui non si canta al modo del poeta , Che finge iinaginando cose vane ec.
Dopo altre terzine, cbe alludono ai fatti cantati da Dante , segue :
Non veggo il conte , che per ira ed asta Ten forte Varci^escovo Buggiero Prendendo dal suo ceffo fero pasto ec.
Per tornare ai medici fiorentini, come Dino anche il Torrigiano fu scolare di Taddeo , e professore nell' università di Parigi, ed in età molto avanzata pare clie prendesse l" abito dell' ordine dei predi- catori, o dei certosini (58). A Dino del Garbo aggiungeremo il suo figlio Tom-
(58) Filippo Vili. Fior, illustr. Mazzuch-, Tirab. Ist, della Lett. Ital. tom. y.
5o DEL Eiy. DELLE SCirN'. E LETT. niasOjSÌ per unirlo al padre, di cui fu anche più celebre, e per la singolarità di essere stato stimato da un uomo som- mo , di cui è noto l'alto disprezzo, clie avea per la medicina, cioè il Petrarca, che per tema di contradirsi lo appelU non il più grande, ma il più famoso (09 . Scrisse dei conienti sopra alcune opere di Galeno, e un consiglio sul modo di vivere in tempo di peste, che può me- ritare speciale attenzione, giacché eri vissuto nel tempo di una delle maggiori pestilenze, cbe abbiano desolata la terra cioè quella del i348 • Occupandoci i» questo breve ragguaglio letterario piut- tosto dei progressi procurati alle scienze dai toscani illustri, che delle persone degli autori , abbiamo già detto anche troppo , e della giurisprudenza , d della medicina. Osserveremo in quest'ultima, cbe il ritrovarsi in ogni secolo dei ri- spettabili uomini , cbe l'hanno diretta- mente attaccata , e un numero anche maggiore, cbe l'hanno schernita, è una nuova prova almeno della sua incertez- za, non essendo avvenuta l' istessa sorte alla fisica, alla matematica, e ad altre
(59) Petrer. Seuil, lib. xii. ep. i.
SAGGIO SECONDO 5l
scienze, clie procedono con altri metodi nelle loro ricerche : ed appunto in que- sta età la medicina el>be la disgrazia di trovare per nemico l'uomo più grande, che allora 'vivesse, il celebre Petrarca, Kgli non lascia occasione di attaccare i medici , ora con seri ragioncunenti (60), ora con comici racconti, ora descrivendo la pompa con cui apparivano in pub-
(fio) L'aforismo d'Ippocrate Jrs lonsa, vita I brevis , è comentato dal Petrarca »< Vitam me- idci dum bievera dixerunt, brevissimam effe- ictTLiiit ». Il chiarissimo d'Alembert nell'elogio ,|di Regnier, che era uno degli increduli in iimediciiia, dopo ayer concesso, che nr'u si può
Ì negare esservi dei casi , nei quali la medicioa solleva il malato , e moltissimi altri in cui turba la natura e la distrugge , volendola aiu- tare , soggiunge che la Si>la manieia di dtci- der la questione sarebbe di vedere coli' espe- rienza , se i popoli senza medicina vivono più ^dovea , credo, dir più sani) di quelli , che 1' hauuu : mais mnlheuveusement Les yeuples sann'nees . qui n'ont c/ue la nature pour me- decin , n'ont point des ì-et^islres niortuairesi et les peuples ci\^ilisés , qui ontfait une scien- ee de lari de gueriv , ne se laissti'Otit pus aisement persuader d'en pruserire , va d'tn suspendre l'usale.
52 DEL RTN. DELLE SCIEN. E LETT. Llico, pompa che secondo lui avea l'aria di un trionfo , e che alcuni meritava- no, se non meno di cinquemila persone uccise, numero che si richiedeva nella romana repubblica, perchè un eroe ot- tenesse l'onor del trionfo (6 1): ne cessa di raccontare i falsi presagi medici ac- caduti in altri, ed. in se stesso. Alcuno ha creduto che 1' odio contro dei me- dici fosse nato in lui da una amara ri- sposta di un medico di papa Clemen- te VI alla lettera del Petrarca a questo pontefice , in cui lo consigliava a guar- darsi dai troppi medici: questa causa però non può che avere al più aguz- zate le armi del disprezzo , che avea per queir arte ; giacche nella lettera stessa anteriore alla risposta mostra gli stessi sentimenti e i fatti avvenuti a se stesso erano troppo atti a confermar- velo. Ma quando anche parla pacata- mente a qualche medico suo amico mo- stra la medesima opinione. E' mirabile il vedere, come uomo sfornito di me- diche cognizioni possa lottare coi piiì grandi medici per forza d' ingegno : si trova l'arte medica, e le teoriclie re-
(6i) Sinil. lib. y. »p. 4»
SAGGIO SECONDO 53
gole alle prese col buon senso ignaro dell'arte, e questo quasi sempre supe- riore (62). Dalla pompa , con cai mar- ciavano i medici , dagli onori, e dai pre- mi , che ricevevano dai principi , e gran signori j si può argomentare il pregio grande, in cui era tenuta la medicina in un tempo, nel qual (se ai dì nostri, come comunemente si crede si è tanto avanzata) era nelT infanzia. I suoi lumi sono cresciuti , e la stima è andata de- clinando. Lascerò indeciso , se questa
(62) Si leggano fra le senili lib. xii le due 'lettere a Giovanni Dandi medico suo amico, i che lo consigliava a cangiare il metodo di ci- ibarsi sull'anno 63 della sua età; si osserverà icon quanto buon senso ragiona in un'arte a lui sconosciuta. E d'accordo di lasciar l'uso dei pesci e delle carni salate , non così però i pomi , non il costume di cibarsi una sol volta il giorno, di digiunar rigorosamente una volta la settimana in pane ed acqua : non l'uso del- l'acqua pura. Se si ponga mente alla consue- tudine di questo metodo non interrotto fino dalla puerizia, si conoscerà quanto sarebl^e i slato pericoloso a mutarlo a quell'età come lo provò Luigi Cornaro sedotto dai continui , discorsi dei medici, V. Convar. della viti» sobr»
Pign. T. V. 6
54 1>EL nix. DELLE SClEX. E LETT. nasceva daU'ignorauzu dell'età, e se il- luminandosi il mondo , V abbia ridotta rtl suo vero grado. JNon deve dissimu- larsi però che questo i^rand'uomo parla più contro i medici del suo tempo , cbe contro la medicina , e pochi troveranno, che abbia torto. Una non piccola con- solazione ai medici contro le invettive del Petrarca può essere il riflettere che egli Don ha risparmiato neppure i le- gisti (63). Lo stesso ridicolo con molto maggior iagione gettò ancbe sopra 1 a- strologia, con cui la medicina ha avuto la disgrafia di essere per tanto tempo associata ; i comici latti, eh' ei raccon- ta, e in specie la solenne importanza, con cui l'astrologo dei Visconti tratte- neva la corte tutta , e il popolo milanese adunati per aspettare l'ora propizia, in cui tre irateìli Visconti, Matteo, Ber- nabò, e C.ileazzo dovean prendere il possesso dei loro stati, sono atti a ral- legrare ogni sensato lettore, che sa l'in- telice sorte di quei fratelli (64). Ben-
(63) Lett, a Maiso da Genova, edit. di gcu, i6oi. lib. li. ep. 4*
(64) Il Petiaica iiuii vide siiieutiti gli au- gurj uh*; di .Matteo U i^ualc m cupo a un' auuu
SAGGIO SFrryro 55
che sia aqevol cosa il comprfindere la
'O
vanità dell'astrologia, dppsi tuttavia ro-
o
care a non piccola gloria del Petrarca r averne conosciuto il ridicolo in uu tempo , in cui era comuneinentp rispet- tata ^ e di essersi sollevato su gli uni- versali pregiudìzi.
Questa scienza ( se pure si d^e mnc- chiare tal nome applicandolo sì male ), la pretensione dì indovinare il futuro, fu a quel tempo associata qu^si indispensa- bilmente alla medicina , come nel nostra la ootomia, o la botanica. Si farebbe gran torto alla medicina a confonderle insieme non avendo altra somiglianza talora , che negli arditi prognostici, che i novizi Del- l' arte medica ardiscono pronunziare , L' ansietà di indovinare il futuro ba te- nuto in credito l'astrologia in tutti i tem- pi; e il popolo romano sperava di leggerlo nel volo degli uccelli , o nelle viscere fu- manti degli animali (65) . La cattedra di
perde la signoria di Bologna e morì in età fresca. Egli avrebbe avuto anche motivo di bur- larsi da vantaggio dell'astrologo, se fosse stato spettatore del tragico fine di Bernabò. Seni). lib. I. ep. 6.
(65) Spirantia consulit exta, Vir. \, Aen»
56 DF.L B.IN. DELLE SCIEX. E LETT. questa ridicola scienza ha deturpato il catalogo dei professori di Bologna , e di Padovn . Presso i principi , e le repubbli- che vi era la carica di astrologo , come poi quella di teologo , o di medico . Ri- vendicheremo noi come fiorentino, o ri- getteremo uno dei più famosi astrologi di questi tempi, Guido Bonatti? Se Forlì lo pretende per suo , lo cederemo volen- tieri , benché Filippo Villani lo faccia fi- orentino , e nativo di Cascia . I piccoli principi d' Italia fecero a gara per posse- derlo. Fu creduto l'uomo il più sapiente dei suoi tempi , giacché l'arte di indovi- nar, ragionando , il futuro dovea esser creduta la più grande. Egli si vanta ar- ditamente di molte profezie verificate (Jo^^, e delle più insigni vittorie che per
Si crede , che presso i romani fosse la scienza degli auguri un articolo di politica : ina sarà sempre una gran disputa , se mai sia utile V er- rore al popolo ; giacché , quando è assuefatto all' errore può esser facilmente sedutto da ogni ardito impostore . Cicerone non rispettava molto questo pregiudizio e questa politica : non si può con più ragione distruggere le follie degli auguri di quel che egli ha fatto nell'aureo libro de Dìi'inalione.
(66) Ezzelino da Romano ayea sempre intorno
SAGGIO SFCONDO ^7
SUO mc7zo riportò Guido Novello: fu non ostnnte talora soggetto a delle umilianti, e ridicole mortincazioni (67) . Niente pe- rò vi può esfer di più ridìcolo, che mira- re i pubblici affari dipender dagli astrolo- gici precetti : contemplar per esempio quest' astrologo sul campani! di Forlì , e l'esercito del conte Novello signore delia città pronto a marciare : quello dar col primo tocco della camptina il segno al conte di porsi 1' armatura , col secondo di salire a cavallo , col terzo di muover r esercito (68) . La fiorentina repubblica in questi tempi rinomata per la saviezza dei cittadini, faceva anche essa muover
una fella di astrologi , tra i quali il Bonatti , e un Saracino che alla lunga barba , e al truce a- spetto era paragonato a Balaam. Questi ed altri gli avevan predetto i più funesti e\enti poco prima della battaglia di Cassano , in cui riportò quella ferita, onde poi mori. Malvez. Cron. Bres. Rer. ital. tom. 8, V^erri istor. degli Ezzeliui.
(67 Avea egli predetto la serenità dell' aria : un cuutadino dai movimenti dell' orecchie del suo asino predisse la pioggia, e fu miglior pro- feta. Benv. da Ina. Com. di Dante. Annales Fa- roliv. Ber. ital. tom. ir», ' (68; Filip. Vili. Fior, illus.
6*
58 DEL RIN. DELLE SriE-X. E LETT. gli eserciti a norma degli astrologi: onde r errore era universale. JNon si possono scusare i moderni neppur coli' esempio dei romani : questi ft rse Tedendo , che queir errore non potea tegliersi dal vol- go, avean cercato di profittarne per van- taggio pubblico istituendo un collegio di auguri , onde l'opinione popolare fosse diretta dal governo . Che generalmente poi deridessero i principjdiqiiel collegio, può dedursi dall' asserzione di Cicerone, il quale dice.cbe incontrandosi fra di loro due auguri dovean ridersi in faccia. Scris- se il Bonatti le regole della sua arte. Per separare da tanta feccia qualcbe perla , era. Guido perito nelle cognizioni astrono- miche, le quali si potevano avere in quel tempo, e nella filosofia ; e i suoi viaggi fino in Arabia lo doveano avere arricchi- to di non comuni notizie.
FILOSOFIA , E MATEMATICA
E' dolce cosa nei tempi nostri fra tanta luce , che la matematica , T osservazione, e r esperienza hanno sparso su i naturali effetti il voltarsi indietro, e riguardar le tenebre , da cui siamo da poco esciti , e che hanno ricoperto per tanti secoli la terra, Quello che avviene sul principio
SAGGIO SECONDO 5^
alla vita deli' uomo , è vero bene spesso del lungo corso dell' età. L'ultima facol- tà , che'si risvegli negli uomini , è la ra- gione. Se questa regola si applichi ai se- coli passati , ed alla scienza della natura, non solo si troverà vero , ma ci sembrerà anzi che ella sia restata in un letargo a cui non pareva destinata. Dopo che le for- ze dell' immaginazione avean percorso e in Grecia, e in Roma tutti gli oggetti, di cui quella facoltà è capace, anche oltre i limiti, che la bella natura ha loro se- gnati , dopo che la ragione stessa avea tanto abbellita la morale tra i giardini di Acadomo , o sui colli Tusculani, i na- turali effetti erano sempre coperti di un velo , e si può dire che quel velo non sia cominciato ad alzarsi con sicurezza, che nel fine del XVI secolo dell' era cristiana. La mancanza di metodo nell' investigare i naturali effetti fex:e progredir cosi poco ^li antichi nella scienza della natura. In- vece di interrogarla con l' osservazione , e costringerla a rispondere cogli esperi- menti , pretendevano dal solitario gahi- inetto indovinarla con sottili ragiona- menti. Per un lungo tratto di secoli T u- .:nano ingegno nella natnrale scienza fu simile ad un viandante , che avendo
6o DEL UlN. DET.LE SCIEN. E T.ETT. smarrita la strada senza avvedersene, per quanto cammini non giange mai alla meta. L'unica scienza, che fosse con qual- che profitto coltivata dagli antichi , fu r astronomia : i corpi celesti esposti con- tinuamente alla loro vista presentava- no anche air occhio ozioso, e non astro- nomico osservazioni semplici, le quali tante volte replicate dovevano dar luogo almeno ad un' istoria del cielo da com- preiìder dei fatti capaci di servire ai suc- cessivi astronomi; giacche molti fenome- ni dei cieli abhracciando uno spazio su- periore al corso dell'umana vita, per dedur qualche cosa di preciso conveniva paragonare osservazioni di età diverse , e di diversi filosofi . Il saggio critico , che non si lascia deludere dalle brillanti con- getture di chi forse per singolarità, e per pompa d' ingegiHJ ha voluto attribuir troppo agli antichi (69) , che non deduce una scoperta da un'espressione ambigua, ne immagina misteri fisici velati dalle favole , rivolgendo le loro opere fisiche , ne confessa la povertà. S' incontrano( bi- sogna confessarlo ) in questa solitudine
69) Découvertcs des Anciens attribnées aux cttodernes.
SAGGIO SErOXDO 6l
due o tre uomini , che avendo coltivata la scienza la più sicura , la matematica , gli ha questa condotti a verità sorpren- denti. Tale in Italia fu il tarentino Archi- ta , riconosciuto per uno dei più grandi matematici dell' antichità , che applicò le astratte verità geometriche agli usi meccanici , che dette una pratica pro- va del suo ingegno colla costruzione della celebre colomba di legno, che imi- tava il volo delle vere , ed un' altra spe- culativa colla solazione del famoso pro- blema della duplicatura del cobo, solu- zione, che giunta ai nostri tempi ci dà un' idea assai vantaggiosa dell'ingegno di Archita ^70), la cui mente calcolatrice dopo più secoli meritò un elogio dal li- rico romano (7 :). Ma assai più di Archi- ta si sollevò in siffatte scicHze Archime- de , che può con Galileo , e con Newton porsi in un illustre triumvirato . Celebri sono tutti e tre per non essersi semplice- mente occupati nelle astratte speculazio- ni della matematica, ma per averle ap-
(70) Montucla , Hist. des Matematiques. (7 1) Te maris ^ et coelì ^ nuineroque caren-
(tu rirenae Mensorem cohibent Archita. Hor. Od 28. 1. J,
r^2 DFT, rjy. DETJ E SC\T.y. E LETT. plica te alla fisica con utile successo. cioc- ché è specialmente il segno del talento snblimccbevede i rapporti tra T astratto, e il concreto, e con ingegnoso metodo sa render feconde le verità astratte. La mec- canica soprattutto deve infinitamente ad Archime«le per la dimostrazione dell'a- zione della leva;per l'invenzione dell'elico o vite perpetua , e dell' altro utilissimo istrnmento a;^pelIato la coclea di Archi- mede, onde l'acqua con ingegnoso ritro- vato , e con bizzarra contradizione, nel tempo che scende per un piano inclinato, si trova insensibilmente sollevata a no- tabili altezze. La costruzione della sfera, ove mostransi in compendio il cielo, e la terra , e i moti degli astri è da Cicerone creduta opera d' ingegno più che umano (72^ con moltissimi altri grandi ritrovati,
("7 2") Ne in sphaera quidem eosdem motìis Archimedes xine di'i'ino ins^enio fiontisstt imi- tari. ( Tusc. Quorst, lib. I.) Vedi 1' epigramaia di Claudiano. Jupf'iter in parilo Clini cernerei nethera vitì^
Risii , ei ad Siiperos tolia dieta dedit: Jliiccine moi'talis pros;re.^sa potentia curae
J"m meus inj^vagis liidituv orbe labor? Juia PoLi^ rerum^ue Jìdem, leges^ue Deorum
SAGGIO SECONDO 63
cne hanno ecoitalo di quel matematico la più alta ammirazione. Noi lasceremo da parte tulio ciò, che è stato trattato di fa- voloso, come la costruzione dell' immen- sa nave descritta da A.teneo, o le terribili prove della bua arte contro i romani , al- l' assedio di Siracusdrma le sue inijeijnose dimostrazioni della proporzione della sfera ai cilindro , e le altre verità , che l'accompagnano , come upprossiinazione della misura del circolo, esistono ancora; e ciò che soprattutto ne caratterizza il
Ecce siracusìus transtuiìt arte senex . Iiiclusus variis fainiiLatur spiritus astris.
Et viuum ctrtis inotibus ura;et opus. Pccurrit p''opi'iuni mentitor sii^aifer annurn
Et simulata /jofo Cj-nthia mense reclil. Ju/nqut suum K'ol\'ens auJux indusLria inunduin
Gaudet , et hwnaiia sideva mente vegit . Quid/also ifiòontemtonùì'U Salmotiea mifov? Cernala naturae pan'a repevta manus . Noi attenendoci ai fatti istorici colla testimo- niauza di tutti gli antich', attnbaiamo \ inven- zione ingegnosa di questa macchina ad Archi- mede, lasciando che la coui^ettuia vada a ritro- varla sotto il velo della favola in Atlante, che portandola sulle spalle si dicesse perciò di lui , cho reggeva su quella 1' uaiyeisu. BaiLLj Aslro- noui. ajicienne.
64 DEL RINt DELLE SCIEN. E LETT. sovrumano ingegno sono i semi di una delle pin snbliuii matematiche scoperte dei nostri giorni, del calcolo infinitesima- le , i di cui embrioni nati fra le mani di Archimede , sviluppati davvantaggio da- gli scolari di Galileo, Torricelli, e Cava- lieri, giunsero a maturità per l'industria deiringlese matematico. E' questo gran- d'uomo una specie di colosso isolato trop- po superiore a tutto ciò, che anche per distanza di secoli gli sta intorno, per po- tervi aver relazioni ; uno di quegl'indi- TJdui , che formano piuttosto T eccezio- ne , che la regola della specie umana ,e che la natura pare , che produca di tem- po in tempo per mostrare il suo potere . Esso non tu ne scolare né maestro del suo secolo: brillò in esso come una meteora stupenda, ma momentanea: si spense; e il secolo restò nell' oscurità consueta.
Se neir aurea età di Grecia, e di Roma non fece che pochi e lenti passi la scien- za naturale , è f ìcile immaginarsi , die nei tempi di calamità , che per più di sei secoli coprirono l' Italia, dovea restar sempre più negletta. Allorché nel riani- marsi la ragione fu applicata alla fisica , invece di migliorare il met'odo delle ri- cerche; andò anche peggiorando. Le opc-
SAGGIO SECONDO 65
re di Aristotele tradotte parte dal greco> parte dall' arabo furon quasi il solo libro da cui si attinizessero le naturali coizni- zioni. Potendo trar poco dal loro fondo, studiavano gli uomini in quel libro, e ri- guardandolo quasi il codice della na- tura, si persuasero, che ogni frase di Ari- stotele contenesse una verità. Tratto alle università con religiosa venerazione , interpetrato come un Oracolo, in cui si dee trovar il vero , si vide ad un tratto Aristotele ere ito il legislatore della natu- ra , e quantunque in qualche regno, e in specie a Parigi , si trovassero degli em- pi , che bestemmiassero questo nome , presto si ritrattarono; e la sua venerazione iu quasi universale . Sino tra le arene deU'xlfFrica le arabe sottigliezze di Aver- roe ne stabilirono l'adorazione, e contri- buirono ad accrescerne T autorità anche in Europa , diaianierache se il rispetta- tile vecchio stagirita fosse risorto in quel tempo dalla tomba , sarebbe stato stupe- fatto di41a sua gloria , ed avrebbe forse pili di una volta sorrìso dei suoi commen- tatori, (^3) L' interpetrazione di Aristo-
(73) Vedi Swift.
Fign. T. F. 7
66 DEL RIN. DELLE S€IEX. E LBTT. tele dette origine ad un singolar linguag- gio, die potrebbe appellarsi lingua pe- ripatetica, composta di parole, che hanno avuto r onore di equivalere alle cose per tanto tempo . Cosi la sostanza, \aL forma, gli accidenti , \vk forma sostanziale , le quiddità , le quantità , le qualità , con tante altre somiglianti voci, formavano un vocabolario , in cui si credeva, che si nascondesse la chiave dei naturali arcani. L' intelligenza di queste oscure parole formava la filosofica scienza di quel tem- po. Erano gli scolari condotti in queste tenebre, delle quali niuno si accorgeva , j)erchè il buio era uniforme; e se talora qualcuno osava di veder più chiaro,!' au- torità di tante università, da cui era sif- fatto gergo autenticato , le numerose tri- tìi di tanti che passavano per dottissimi, e che adoraYanoilnome,e giuravano sulle parole di Aristotele, lo facevan tacitamen- te dubitare di quei lumi, che l'interna ra- gione gli suggeriva; o almeno la prudenza lo consigliava a tacere , conoscendo che ini saggio tra una folla di stolti diventa esso lo stolto. Per confermar sempre più sugli uomini l'impero di questa barbara filosofia , fu associata alla scienza divina, e partecipò della stessa venerazione. Si
SAGGIO SECOinDO 6j
credette , cbe la semplice morale del Vangelo , o i suoi più venerabili , cbe in- telligibili misteri avessero bisogno o delle sottigliezze scolastlcbe, o delie tenebrose frasi peripatetiche per esser meglio di- mostrati . In questa maniera, forte d' in- numerabili difensori , ba durato il regno di Aristotele per tanto tempo ; ha piii volte interessati i governi a sostenerlo (74)j e non è caduto, cbe ai replicati urti
^74) P^ed.Laiinojii? de var. Avistot. fortuna, Francesco I. Re di Francia sedotto dalle au- torevoli grida dì tanti ignoranti ha avvilito^ e (juasi reso ridicolo in faccia ai posteri Usuo no- me di protettor delle Lettere coli' editto in cui si proferisce solenne condanna contro Ramu$ perchè combatteva la filosofìa di Aristotele. Sì può leggere in più libri il decreto, che cominciai Francois par la Grace de Dieii ec. Gomme entre autres grandes sollicitudes que nous avons tour- jours eu de bien ordonner et établir la chose piibli- que de notre Rtyaume nous avons mis tonte ìa. peine possible de 1' accroitre et de l'enrichir des toutes bonnes lettres et sciencesetc. lesdocteurs ayant ètè d'ayis que ledit Ramus avoit èie teme- raire,arrogant etimprudent d' avoirreprou ve, et condamnè le train et l'art de logique rccae de tou- tes les nationset parcequeenson livredesariimad- yergions il repicnoit Aristote, etait evidemmenfc
Co DI^L nix. DELLE SCIE^. E LETt. della più forte evidenza. Quando ci fac- ciamo a considerare i lenti progressi del- la fisica , e la lunga infanzia, in cui è stata per tanti secoli , il rapido volo, che nei due ultimi lia preso , ed il numero delle verità , che ha scoperte, nelT ammirare la sicurezza del metodo, con cui procede, possiamo dolerci , clie^questo metodo si- curo non sia stato seguito dagli uomini fino dai più vetusti tempi. Conviene però far giustizia agli antichi filosofi di Grecia, e di Pvoma. Benché ignari del vero metodo di ricercare le naturali verità, benché ta- lor abbiano abusato ancor essi delle paro-
connue,et manifeste son ignorance ,. ..nouscon- damnons, suprimons,abolissrjns les dits deux livre?, faisonsinhibitions etdefensesau ditRariius,à pei- ne de punitions corporels , de plus user de tellcs medisances et invectivescontie Aristote eet.
Un altro decreto egualmente ridicolo fu fatto nelTauno 1624 dal Parlamento di Panici contro i letterati Villan, Bitault, et de Clevcs accusati di avere composte e pubblicate delle tesi contro la dotirina] di Aristotele . i detti autori sono esi- liati in quel decreto. Fait defense a toutcs per- sonnes a peìne de la vie de tenir ou enseigner auciine maxime contre les anciens auteurs fi ap- prouvèes — Non si può avvilire la raaesla delie leggi con maggior ridicolo ,
SAGGIO SECONDO 6g
le, e dati per cause degli eff"etti,gli eftetti stessi con vario giro di parole descritti, non ne hanno fatto un abuso cosi vergo- gnoso , come nei tempi dei quali abbiam parlato: si scorge nei loro scritti una nu- dità di fi>iche cognizioni j ma senza 1' ar- roganza o pretensione di ricchezza , men- tre nell'orgoglio peripatetico , che tutto pretendeva spiegare, ci si presenta un'am- biziosa povertà per questo appunto più ridicola. iSei scarsi monumenti dell' an- tica filosofia , in mezzo ai molti errori si scorgono delle belle verità conformi a ciò che l'esperienza , l'osservazione, e lama- tematica , hanno mostrato ai moderni e nei versi di Lucrezio ( ove si comprende la filosofìa di Democrito , di Leucippo e di Epicuro ) si ritrova il fondamento della dottrina newtoniana. Atomi, vuoto, e muovimento , V indestruttibilità dei principi, che compongono i corpi, l'a- scensione dei vapori dal seno del mare, l'impulso di essi, e perciò l'arresto ai lati delle montagne, e indi la pioggia, la gravità dell' aria , la causa del non accre- scimento del mare, T origine della peste, e l'asserzione, per quei tempi assai me- ravigliosa, che nel vuoto i corpi di diversa
7*
«70 DEL RIN. bELLE SClEX. E LETt. massa, come una piuma, ed un pezzo di piombo, devono muoversi colla stessa ve- locità, (75) con molte altre verità fìsiche, mostrano il dritto senso degli antichi filo- soii, dai quali il poeta le ha tratte. Anzi i principi semplici di quella 61osofìa fan- no un contrasto colle moderne iuiaginarie ipotesi cartesiane a gran svant.iggio di queste: perchè fabbricate, dopo che Baco- ne, e Galileo avean niostrnto la vera stra- da. Fra le tenebre, che in questi secoli
(70) Onesta verità , dimostrata la prima volta da Galileo, di cui si difficilmente si persuadono quei non iniziati alle matematiche , a segno di esservi necessario per convincerli 1' esperimento nel vuoto, è stata espressa con somma precisioue da Lucrezio: ecco i versi :
JS'am per aquas quaecumijue cadunt atque aera deorsum , Haecpro ponderibiis casus celerare necexse est ? Propterea, quìa corpus aquae naturaque lenuis Aeris haud possunt aeque rem quamque morari Sed citius cedunt grai-'ioribus exuperatn. Al contra nulli de nulla parte , neque ulto Tempore , inane potest vacuum suhsistere rei ,. Quin^sua quod natura petit, concedere pergai : Omnia, qua propter debeiit per inane quietuni Aeque ponderibus noìi aequis concita fsrvit
SAGGtO SECO>"D0» 71
ricaoprivano la filosofia per tutta l' Euro- pa , la sola Toscana getta alcune scintille, le quali mostrano già il paese, che dpvea produrre il Galileo. E' noto come l'anno romano rozzamente regolato da iS'uma, che pretese combinarvi i lunari, e i solari periodi, era al tempo di Giulio Cesare caduto in tal confusione, che le stagioni aberravano dalle usate posizioni. Cesare, essendo nel collegio degli Auguri, ai quali spettava il regolamento di siffatte cose ^ ne immaginò la riforma. Chiam;ito da Alessandria , die era la sede delTastrono- mia, Sosigene, fu col di lui consiglio re- golato l anno civile sul corso unico del sole. Questo pianeta compisce il suo pe- riodo nello spazio di 365 giorni e 6 ore, meno 5 minuti secondo Ipparco , Sosigene propose di formar l' auno di 365 giorni^ e per tener conto delle 6 ore o quarta parte del giorno, di aggiungere un giorno di più ogni 4 anni al mese di febbraio, Credette pertanto, che si potessero senza sensibile errore trascurare 5 minuti, dei quali si accresceva l'anno. Fu il suo piano adottato, e Cesare ebbe la gloria di siffat- ta riforma dando il suo nome a quel pe- riodo. Md l'errore era più considerabile^ estendendosi ogni unna ad undici iuiuuti
72 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT in circa, compiendosi la rivolazione del sole 365 g. 5y 49» nieno qualche più pic- cola frazione. (76) Ogni 4 anni si aggiun' gcvano 45 minuti di più , sicché il prin- cipio dell anno vero precedeva sempre diivvanlaggio quello dell'anno civile, e nello spazio di i3'2 anni la differenza mon- tava ad un giorno. Al tempo del concilio JNiceno, nell'anno dell'era cristiana 325, era stato fissato l'equinozio di primavera al dì ai di marzo per regolar la pusqna. Da quel tempo ogni i32 anni l'equinozio civile posticipava di un giorno, ossia il vero ed astronomico anticipava di altret- tanto. L' errore divenne aitine tanto con- siderabile, che Sisto IV concepì il pro- getto di una corretione, la quale fu poi eseguita da Gregorio XIII. Ma avanti che l'errore divenisse cosi sensibile, nel se* colo IX in tempi di tanta ignoranza si era pure accorto qualche fiorentino astrono- mo di tale irregolarità. In un calendario, eh' esiste in santa Maria del Fiore, si di- stingue con tutta la precisione l'equino- zio ecclesiastico dall'astronomico: il pri- mo era quello fissato ai tempi del conci- lio Isiceno perla celebi azione della pasqua
{';G) La Laude 365. g. 5.*' 48\ 48''.
SAGGIO SEC0^'DO J^
il dì 21 di marzo, come nel calendario si nota; ma si aggiunge, che l'ingresso del sole in ariete, che era il vero equinozio, avveniva nel dì iS di giugno; ('77) e per- chè non resti alcun dubbio si replica lo stesso dell'equinozio autunnale, mostran- do , che vi corre sempre la differenza di ó giorni, e lo stesso si nota dei solstizj. Or calcolando l'anticipazione degli equino/.] su 4 secoli, che erano scorsi dalla celebra- zione del concilio niceno, al tempo incir- ca del calendario , si trova ch'esser dovea appunto di 3 giorni. Ma in che maniera in secoli di tanta ignoranza potevano i fiorentini aver fatta una somigliante sco- perta ? neir antico tempio di san Giovanni esisteva un astronomico gnomone, di cui veggonsì ancora i resti (78) sul pavimento
(']'•) Si vegga Leonardo Xiraenes, // vecchio € nuoi'o Gnomone , Tntr'oduz. l'storica ,ove con dottrina e prafund ita è trattato questo argomen^. Ivi si riportano altri calendari, dai quali si dedu- ce parimente , che si erano gli osservatori fioren- tini accorti dello spostanjento dei punti equino- ziali e solstiziali.
(78) Si vede ancora la figura del sole col verso «he la circonda:
En gii'o torte sol eidos et rotor igne, verso che ha le raede<im« parole, letto a diritto.
74 I>tl^ Rl^- t)ELLE SCIEN. E LETT. ove la figura del sole, contornata da on ingegnoso e barbaro verso, è il posto in cai per testimonianza di Gio. Villani per un foro, che esisteva ai suoi tempi nella cupola, il raggio solare nei soli giorni del solstizio estivo andava a cadere. Questo gnomone 5 probabilmente il più antico di siffatto genere, mostra con quanta intel- ligenza erano osservati in Firenze i moti celesti, onde non era difficile e li e si ft is- serò accorti dello spostamento dei solsti- zj e degli equinozj. La sepoltura scoper- ta accanto a quel marmo astronomico di Sforzo Sforzi, cLe si appella col doppio nome di astrologo , e generale , morto neir anno 1012 , può indicare forse le di- ligenti osservazioni die vi aveva fatte, e ch'erano in uso anche avanti di farvi i fiorentini matematici.
Un' altra non piccola gloria della To- scana è Lecnardo Fibonacci pisano, il primo introduttore dell' algebra in Eu- ropa. Suo padre, agente dei pisani nella dogana di Bugia in Affrica , richiamò il figlio. Esso non solamente apprese le a- ritmeticbe operazioni praticate ivi dagli
o a rovescio, ma non esiste vestigio del foro otc passa^d r iinma^ine solare.
SAGGIO SECONDO ^5
arabi, ma ebbe a.gio di perfettamente i- struirsene nei lunghi viaggi , che per mo- tivo dì commercio fece in Egitto, in Siria in Grecia, ed altrove. Che egli eia stato il primo introduttore dei numeri arubi , come da alcuni è stato asserito , non può sostenersi; giacché molti sono i documen- ti j onde deducesi essere stati praticati innanzi al suo tempo, e solo si potrà im- maginare , che egli n'estendesse l'uso, facendo forse conoscere qualche opera- zione aritmetica , ancor non ben nota ìa Europa. (79) Ma ninno può contrastargli il primato sulT algebra. I suoi libri ne fanno autentica testimonianza , dai quali s'imparano altresì l'epoche della sua vita. Il nitido manoscritto del libro di abba- co (80) esistente nella biblioteca Maglia- becbiana , porta la data del i lOi , un altro
(79) Ved. Targioni, Via?, tom. 2. pag. 68,'
(80) Eneo il titolo: Incipit liber Abaci com- positus a Leonardo Fìlio Bonacci pisano in an- no I 202', e nel manoscritto della Riccardiana: Incipit liber abaci a Leonardo Filio Bonacci composiius an. 1 202 , et correctut ab eodem anno i 228. Il titolo dell' altra opera è: Incipit pratici Geometria composita a Leonardo ex. Jiliis Bonaecì in anno 1220.
76 DEL RIN. DELLE SCIE!^. E LETT. esemplare della Riccardiana porta lo stes-^ so anno, aggiangendosi che fu corretta r anno 1228 dall' autore, e dedicato a Michele Scotto; e appunto lo Scotto è co- nosciuto in quel tempo come astrologo^ e familiare di Leonardo. Finalmente l'al- tro codice di geometria pratica rammen- tato in questo tempo da Riccobaldo e Pipino, che nella Magliabechiana con- servasi, ba la data dell'anno 1220. La concorrenza di queste date in rar] ma- noscritti non lasciano a dubitare , che la, fine del XII , e il principio del XIII secolo sia il tempo in cui è vissuto Leonardo . ■ Ammessa quell'epoca, non si trova al- cuno, ch'abbia scritto dell'algebra prima di lui. Potrebbe cader qualche dubbia sopra Guglielmo di Lunis: questo è ram- mentato in un ragionamento di algebra di Raffaello Ganacci che manoscritto trovasi presso i sigg. Nelli giudicato da- gli antiquari del XIII secolo, che cosi incomincia : La redola deWArgibra, la (juale regola Guglielmo di Lunis la traslata d' arabico a nostra lingua-, on- de potrebbe alcuno dubitare, che Gu- glieluio ^ia iintei iore a Leonardo; ma l'in- certezza dilla ditta , la lingua italiana, di cui SI la uso^ e che non eru ancor comune
SAGGIO SECONDO 77
nelle scritture ai tempi di Leonardo, la candida asserzione di questo , cbe com- poneva il suo libro, percbè gl'italiani non iossero più privi della scienza coaipleta dei numeri (mentre se altro ne fosse esi- stito si sarebbe esporto all'accusa d' im- pudente menzognero ) formano una suf- ficiente dimostrazione dell'anteriorità del suo lavoro. (Si) Convien notare cbe Leo- nardo, con quella candidezza cbe è pro- pria degli uomini probi, non si appropria alcun merito nell' invenzione dei metodi, e solo può ad esso appartenere la maniera di esporli, e di mostrarli. E infatti nei libri arabi, che sono stati jn seguito tra- dotti, si trova la scienza nel medesimo grado, in cui è nel libro di Leonardo. Nell'altro suo libro di geometria pratica, diretto specialmente a insegnare T agri- mensura, si scorgono le sue estese cogni- zioni delle verità geometriche , e i metodi facili di misurare le piane e solide figure con precisione. Tutto ciò lo costituisce
(8 i ) Per altri dubbi che potrebbero eccitarsi vedasi l'eloquente pjocrio del Fibonacci , sir^fto dal dotto padre Grimaldi nelle Memorie de^li illus. pisani.
^8 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. matematico assai superiore ai suoi con- temporanei.
Dell' astronomia, di coi si son vedute sì laminose tracce fino dai reconditi tem- pi in Firenze, durarono ad esservi dei coltivatori celebri in seguito. Lasciando vari altri, convien nominnre Paolo Da- 4»omaro detto il Geometro , che passò nei suoi tempi per un portento, come glielogi del Villani, (82) del Boccaccio, (83) e in tempi posteriori , del Verini (84) ci atte- stano. Non resta disgraziatamente di lui alcun' opera, per testimonianza della suu celebrità. Se è vero, che colle sue osser- vazioni astronomiche giungesse a correg- gere gli errori delle tavole Alfonsino , e Toletane , come si dice dal Villani; se si accorse di mutazioni nell'apparente muo-
(82) Filip. Vili. fior, illus.
(Sii) Gio. Boccaccio de Geneal. Deor. lib i 5. cap6.
(84) Paiilùi et Jstronomus , Paulus Geome- ter et idem Philosophus no\>ìtque omnes doctissìmus artes. yincit aritmethicis Nilum Florentin chartis ^ y/ssrri'aeque caput BabiLonjam cedit Etruscis , S^usciis ab extremo numerorum Qnnge fìguras jiccepit velox qui computai omnia signis.
SAGGIO SECONDO 79
vimento delle stelle fisse, a segno da de- durre, come il Landino attesta, il periodo dell' anno grande ; il suo merito perqoei tempi è di non lieve momento : ma i do- cumenti sono incerti, e lo sono ancor di più di quelli, dai quali si crede dedurre eh' egli fosse inventore di operazioni al- gebraiche. (85) Più probaijile è , che allo
(S*)) V. Ximenes , Introd. allo Gnomone ec. La parola aequationes , che trovasi nel testo latino del Villani è difficile interpretarla per equazioni algehraiche, come vuol Fautore. Il Villani non versato in siffatte materie, in uà tempo , in cui erano quasi ignote, sarebbe stato un miracolo, che avesse adoprato la parola ae- <^uationes nel giusto senso algebraico: probabil- mente non intese per quella parola, che calcoli e somme. Pei segni algebraici si fonda il padre Ximenes su i versi riportati dal Veiini: Tuscus ab exlremo numerorum gange Jì§uras jiccepit velox qui computai omnia signis. Il Verini ha scritto più di un secolo dopo il Da- gomari , e in quei versi si scorge , che il Dago- mari fece uso, come il Fibonacci dei numeri, arabi chiamati Indiani , poteridosi intendere ^i*- gnis per le cifre arabe non comuni , cioè qui computat omnia his signis. Almeno non mi par conturme alla buona critica il voler dedurre conseguenza sì grande dalle incerte parole di un poeta, e un poeta vissuto più di un secolo dopo.
P,Q DEL BUS". DELLE SCIEX. E LETT. stesso astronomo appartengano le efeme- ridi inedite dell' anno 1 366. Da quelle poi parimente inedite dell'anno i382, e da Tari altri astronomi di Toscana può dedursi cbe lo studio della matematica ed astronomia fu sufficientemente, per qoei che lo permettevano i tempi, colti- lo to in Firenze. (86) Non si vuol dissi - Bfiulare, cbe l' og;^etto a cui si dirigevano specialmente quei studi era la speranza, e la credulità di leggere il futuro negli astri; ma non è questo il primo esempio di etìetti utili«;5Ìmi prodotti da vane e imma£;inarie cause. Anche il desiderio di crear 1' oro , se ha fatto perder tempo , e ricchezze in tentativi inutili, ha prodotto però prima interessanti scoperte, indi ì'arte della chimica tanto ai dì nostri utile, ed estesa. Firenze vanta in questo tempo una utilissima scoperta, quella di aiutare la debolezza della vista. Si erano accorti gli antichi che un globo di vetro solido, o pieno di acqua applicato agli occhi, rendeva più grandi , e più distinti
(86) Fra Corrado vescovo di Fiesole, meiiser Gio tla Lignano, maestro Domeniep di Arezzo, Kaestio di Àiiteuio fidieatiuo.
SAGGIO Sr.CONDO 8t
gli oggetti (87). Il celebre Koj^erio Baco* ile aveva fatto un altro passo mostrando, che si otteneva t' istesso eftetto con un seamento ài slera. i8S) La fabbrica^ione dei vetri di figura lenticoìare sino allora ignota, e l'ingegnoso artiiìzio d'inca- strarli in due cirecii congiunti ed atti a sospendersi davanti agli "•■.Lhi j fU'es; ni fiorentino Salvino degli Armati, sul di cui sepolcro, che esisteva già in santa Maria Maggiore per testimonianza del Migliore, e di altri , i' «scrizione lo nominava come inventore degli occhiali: ciò deducesi da vari scrittori, e specialmente dal xManni. L'invenzione risale circa al i285- (89) Per non defraudare alcuno della gloria , che ha meritato, vnoìsi confessar, che il padre i^ lessandro Spina , conosciutane la scoperta, seppe facilmente imitarla; o
(87) Licerne ohscurap et minntae per infera pnsùnm piLam vkre.im aqua pLenain ctariorei omplioresque cernuntur. Seuec. quaes. nat. Pt, hist. nat. in moltissimi passi lib. 5. rap. 19. lih. o(ì cap, 0.1 lili. 37 cap. 7 etc.
(^8S) Siiiitli , opti toni. I ,
(S9 Redi, Ictt.a Cario Qati. Manni flpi?li oe- chiah da naso, IMontucla Hist. des Materna.
8*
Si D1:T. r.lX. DT.T.l.F SCIEN. ELETTc avendo veduti gli occl.lali , o solo senti- tone descrivere T artifizio. (po^L'attri- huiri^li di più 8H rebbe iugiiistiiiia ; e le sa- ne ree-'b' della «critica noti ci lasciano du- lìitare del vero nome dell inventore, ap- pongiHnddci sulla fede, clie merita un au- ♦tiievole ed illibato uomo, quale era il IVIig:iOT>'; (<^f) altrimenti m asserzioni appoggiate alla testimonianza degli scrit- tori, non vi sarebbe più criterio alcuno, e tutto diverrebbe oscurità e incertezza.
L'età , di cui abbiamo scorso l'istoria seientifica , è certamente un' età d igno- ranza ; ma nel) istesso tempo, per una liizzarra conlradizlone , è l'età di alcune delle più grandi scoperte. A lei appartie- ne r invenzione della polrere da scbioppo, cbe lui latta si gran rivoluzione nell' arte della guerra. Mutaz.ioni ancora più gran- di sonnate dall' invenzione della bussola,
(po) Nella pii'i antica cronica di santa Ca^erina <ìi Ptsa si dire: Frater Alexander de Spina ^ t'ir modestus et bonus quaecumoue vidit , aut rudi\fit factn scii'it, etjhcere ocularia ahaliquo peimo fricta , et commiinicare nolente ip^efetit et cornmimzcai'it etc. » In altra cronica dfllo ?tr?so conveuUi si aggiunge: Hs visis stalim nullo diiCi-nte didicit "te.
(<^i^ Mitiiui, degli oecbialì.
SAGGIO SECONDO 83
pfT eli cui iiìiiv.io si sono arriscljiciti ^li uomini a nuove navigazioni, non tentabili senza quello strumento ; e la scoperta di America , e la strada all' Indie orientali pel capo di Baona Speraiìza , banno mu- tato la sorte, e la ricchezza delle nazioni. Si e impoverita V Italia , e le sue ric- cliezie si son divise fra gl'inglesi, olan- desi , portoghesi , ed altri pnprdi. L' in- "veniione della carta formata di stracci di lino , rendendo tanto meno costosi i librile moltij)licandone le copie ha altre- sì moltiplicate le cognizioni , e aperta la strada a una nuova rivoluzione nello spi- rito umano . Deve a questa accompa- gnarsi la scoperta degli occhiali poco fa nominat.'x. non tanto per l'utilità imme- diatamente recata agli uomini , quanto per es5:erne dd questa nata una più sor- prendente, quella dei teloscopi, che ha fatta una nuova rivoluzione nel cielo. Pa- re che queste scoperte sieno state fatte più dal caso che dal ragionamento , non almeno da quello usato dalla barbara fi- losofia di quei tempi. Bisogna distingue- re T ignoranza dall'errore, il secondo, come abbiamo visto , abbigliato di vane e tenebrose parole , dominava nelle scuo- !«; e con una specie di dispotismo inca-
84 DEL. RIN- DELLE SCIEX. E LETT. tenava gli spirili, die non osavano uscire» dagli oscuri limiti adessi prescritti. L'i- gnoranza . lasciando le nienti nella natu- rale liijertà, permette agl'ingegni straor- dinari,che in tutti i secoli nascono, di far uso delle loro furze,e perciò, anche privi di aiuti , possono piender qualche volo inusitato , tanto più facilmente talora , perchè non aggravati dal fascio delle co- gnizioni estranee , clie gli assuef^ccia , e quasi gli obhlighia veder cogli occhi al- trui. E' forse questa la ragione .che le barbare età possono produrre delle rna- ravigliose scoperte. Ma riduciamo tulto al suo vero valore. Di tanti uomini cele- brati con superlativi elogi dagli storici dei loro tempi, e dagli scrittori della sto- ria letteraria, che cosa resta? òi possono applicar loro i saggi versi di Dante:
O vana gloria dell umane posse ! Con poco verde in sulla cima dura. Se non è giunta dalL'etadi grosse .
. E' passata la loro gloria, come un fumo, e i voluminosi libri di legisti, mctlici, fi- losofi , son sommersi nel! oblio , e solo al- cune poche verità sopr.» di esso galleggia- no . JNon vi è altra maniera di pesare il
5AGGI0 SECONDO 85
meritoclegìi scrittori . La posterità ne giu- dica senz'appello : se si eccettuino le sco- perte mirabili Ja noi notate , e poche re- rità, tatto il resto è un tenebroso vanilo- quio, o una serie di arguzie , e scolastiche sottigliezze non istruttive, nèdiiettevoli. eli uomini vogliono essere o istruiti, o dilettati. I parti dell'intelletto dei secoli finora percorsi non ottennero, che scar- samente il primo scopo. Fu più felice 1' immaginazierne nel secondo , come ci pre- pariamo a mostrare .
BELLE LETTERE, E POESLV.
La lingua italiana, nata da moltotempo, restò lungamente nelle bocche del volgo, interprete poco più che dei naturali bi- sogni, avvilita col nome, che ancor conser- va di volgare (92). La latina benché in- Tecchiata, e stranamente sfigurata, man- teneva ancora la sua dignità, come un* antica, e illustre famiglia impoverita , e decaduta ; ed era quella, che si usava non solo dagli scrittori, che cercavano celebri- tà ; ma negli atti più comuni della vita , nei contratti, e nelle stesse epistole : la
(9^) Vedi quanta abbiam detto suU'origiae di qu««U IJDgua, Saggio Primo, tom. 2.
86 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. figliti, che non a?ea compita la sua eda- cazione, balbettava ancora nell'infanzia. Finalmente cominciò ancor essa a solle- Tarsi all'onore di essere scritta; e proba- bilmente leprime linee furon dettatedalle Muse. L'antica tradizione o la favola at- tribuì ad Amore l'origine della pittura ; io più facilmente m induco con Dante (q3) ad attribuire a quella passione la nascita dell'italiana poesia. Dove sonostati degli amanti, visone stati dei poeti. Vo- lendo questi esprimere i loro dolci senti- menti rivestiti dei colori dell' immagina- zione,e di armonia alle Belle, facea d'uopo lasciare la latina lingua a quelle straniera, e poetare in volgar linguaggio. Ed ecco di padre amabile una piìi amabile figlia. Inutilissima è la ricerca sull inventor della rima : questa , che è divenula una delle più gentili grazie dell'italiana poesia ,fu comeundifettosfuggltadai classici scrit- tori latini; e se qualche antico ed in spe- cie Ennio (94) si dilettò talora di far dei
(93) Vita nuova .
(94; Versi di Ennio riferiti da Cic.Tusc.tom.i .
Haec omnia ^ìdi injlatnniavi
Priamo vi vitam eritarì . Parimente
Coelu/n nitestcre, arbores frondescerc
SAGGIO SECONDO 87
Tersi rimati , non fu questa una del legem- me, che Virgilio traesse dalle di lui im- mondezze. I ver$i latini erano dotati di una armonia infinitamente superiore a quella degl'italiani: ce ne accorgiamo noi stessi, e non ne sentiamo che una picco- lissima parte, ignorandosi la maniera di pronunziare poeticamente le latine paro- le,e in specie la cantilena, o le appoggiatu- re, che si davano alla varia posizione del- le sillabe. Le lunghe, e le brevi, che da noi non si sentono che rara mente, doveano es- sere da loro sentite^QDje perciò viera qual-
Vites Inetifìcae pampinis pubescere Kami baccarum ubertnte ine uri' escere • Anche Varrone nella sepoltura (Fi Menippo:
Neque Grthophallica attuLit psalteria , Quibus sonane in Graecia dicteria etc. Fra i Greci , e fia gli Ebiei hanno gli eruditi trovate le rime , se pure il caso non ve le ha talora accozzate, come in Virgilio, in Orazio ec. (96) Vi sono delle parole latine, nel pronun- riar le quali sentiamo le brevi e le lunghe, come nella media dei trisillabi. Vi sono altri casi, nei «juali il nostro orecchio sente, che ad una con- sonante dee succedere una vocale, perchè la sil- laba antecedente sia breye, e si conserYi il suo- no, per esempio :
88 DEL RIN. DELLE SCIEN. E T.ETT. che modo di pronunziarle a eoi ignoto, al- trimenti le loro regoIe,fondate in una con- venzione imaginaria , non sarebbero state sì rigorosamente osservate. perchè inutili. Da questa pronunzia nasceva una melodia a noi incognita, e che bastava a lusingar dolcemente V orecchio, rendendo inutile anzi noiosa la rima . Il rerso italiano al
JEt pecus et dotninum communìs olauderet
(umbra etc. Ognun sente che il por ^/Vi^a invece di umbra fa- rebbe peccare il verso della prosodia : ma innu- merabili sono gli altri casi, nei quali il nostro orecchio non sente le lunghe e le brevi. In tutte le prime sillabe,e le ultime di ogni parola latina, non sentiamo differenza: la stessa parola varia la misura dal nominativo all'ablativo, da una si- gnificazione ad un'altm. Mala, che può signifi- care e i mali, e un frutto, e la g^ta, varia il nu- mero della prima sdlaba secondo il significato . I latini sentivano sicuramente coli' orecchio quelle differenze, che ci sfuggono,* altrimenti converrebbe dire che le brevi, e le lunghe fos- sero l'effetto di una capricciosa convenzione, lo che non può immaginarsi , giacché si sarebbei^o posti un durissimo giogo per mero capriccio, sen- za che l'armonia vi guadagnasse; giogo , che i più sensati avrebbero tìnalmeote aoosso , perchè inutile .
sAgcio secondo 89
contrario è assai lontano dall'armonia del latinoanclie espresso dalla nostra imper- fetta pronunzia . Il metro dellitaliano si accosta molto alla prosa (96); avea per- ciò bisogno dì essere aiutato da qualche altro armonico vezzo, che lusingasele V orecchio, e questo I ha trovato nella rima. Era facile la nascita di questa, essendo diventata si comune nei barbari versi la- tini dei bassi tempi. Si distinguevano i la- tini versi in metrici e ritmici ; i primi , scritti colle vere regole della prosodia, lu- singavano le delicate orecchie usate alla Virgiliana esattezza ; i secondi peccavano contro quelle regole, e solo vestiti di una grossolana armonia , rassomigliavano ai primi in una imperfetta cantilena, di cui gode anche la prosa (97). Perduto il gu- sto per la nobile eleganza dello stile , e
(gSj In qualunr-pie libro di prosa italiana ad ogni pa;jina, se vi si ponga niente, si troveranno non pochi versi di ugni metro; in eh» parla si osserva I' isfesso; ciò mostra quanto poco il no- stro verso differisca dalla prosa .
(97) Aristot, lib. 3. cap. 4. Reth. Rhr- tmnsy hnhere opnrtet ovrUìonetn non vero ma- irum , secus pò* ma erit.
Pigli. T. V. 9
f)0 DEL R IN. DELLE SCIE\. E LETT. la sensibilità dell' oreccLiio per ia metri- ca consonanza , rozzi ritmici versi , degni delle dure orecchie dei barbtiri popoli, si usarono in degenerato latino, e per feri- re 5 e scuotere più sensibilmente quegli organi grossolani , si adopraron le rime, uso clie , torse ampliato ed esteso , ma non inventato da Leone nel XI secolo, diede ad essi il nome di Leonini (98) ; Versi i quali peccavano ogni mojuento C('ntro le regole dell' antica prosodia , perchè torse si era perduta per T inon- dazione di tante straniere lingue la pro- nunzia, che le faceva sentire, onde versi di nome , ma prosa di fatti (99) , <<veau hi^ogfjo del soccorso della rima. Passò facilmente pertanto la rima dai barbari latini agl'italiani versi, e come una pian- ta selvatica trapiantata in un suolo più u lei atto ingentilisce , e perdono i suoi fruiti r asprezz.a del sapore , la rima di- venne uno dei più dolci comlimenti dd- l'italiana poesia. Nelle parole italiane non essendo sensibili le brevi, e le lunghe che
(98) Moiat. Dissert. \o. Aatiq. lUL
(99) Douizone , e molti altri pueti di quei bai bari tempi, potevano dire CL/Cne le Buiirgeo.s Geiililliornnie di Molière , ciie d\e-Uij aciiLt,v> de la fjrcite sai-s le sauoir.
SAGGIO SECONDO pi
nei versi di tre o più sillabe , e di rado fuori che sulle ppnultime, quando si co- minciò a poetare si scrissero versi ritmi- ci ,e non metrici , onde luron clii'ìmati rime(ioo). Ma chi fu colui o chi fu quel- la città o quella provincia, che abbnndo- donate le strade inselvai icliite del latino Parnaso, se ne aprì una nuova , comin- ciando a poetare in volgar lingua? Chi ha {sostituito all'esametro il verso nostro endecasillabo ? L' inventore è da aversi in sommo pregio. Il numero , e il mecca- nismo del verso latino esametro , penta- metro , ed alcune altre misure (ij , non
(loo) Antonio da Tempo ha «-ritto: Siimrnn artis ritmicae vìilgaris dìctnminis Opera maniis: dedicata ad Alberto della Scala aii. i S^i-2, Mnr. diss. 4o-
(l) Il verso jamho d'^i latini è quello, che si accosta più all'italiano di un<Iiri sillabe ; ma il metro è diverso. Il faleucio poi latuio corrispon- de molto bene a quello, che chiamasi da noi decasillabo , come
Lucete o ueneres, cupi cJ ine sqiie ;
Piangete o Grazie, piangete Amori .
Vi sono anche varj metri lirici, copiati dai nostri
poeti esattamente , quanto al suono, che da noi
si sente nel pronunziarli, ma non mai perfetta-
92 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LETT. era tiran fatto acconcio a II' ita liana farei- la , come l'esperienza lo ha mostrato nel- J' inutile tentativo di inlrodurvelo fatto più volte . L'accorgersi di questa verità in quei tempi, l' inventarne uno,che cor- risponde cosi bene al genio della lingua, è indizio di grande ingegno. Mon solo è ignoto r inventore di questo verso, ma neppure è deciso a qual nazione appar- tenga la prima idea di poetare in volgar favella , se ai siciliani , o ai provenzali . I primi hanno in loro favore 1' autorità del Petrarca (2), autorità di gran peso, giac- ché erano a lui notiissime le provenzali poesie: ì^ ha imitate talora , ha vissuto non poco in Provenza, onde conosceva la provenzale 'etteratura. I provenzali però hanno per loro il fatto . J\on abbiamo poesie siciliane tanto antiche, quanto le provenzali (3). Per non perder tempo su tal disputa, se deve decidersi colle prove
mente per rapporto a quelle brevi e lunghe che al solito da noi rum si sentono ,
(•^) Ptaef. ad epist. famil.
(3) Vi si>no delle poesie di Guglielmo di Poi- tiers , scritte al principio del seculu xi, mentre dell'italiane non se ne pns5ono mostrare che ver- so la li;.e del iccolo Xii.
SAGGIO SECONDO 93
di fatto, stanno queste in fayore dei pro- Tenzali ; se colT autorità del Petrarca , questa è pei siciliani. Egli è certo , che i provenzali poeti , che sotto il glorioso ti- tolo di Trovatori, e il poco onorevole di giullari, cioè buffoni, vennero in tanta fama in questi tempi in Provenza , si spargevano per V Italia , frequentavano Je corti dei principi specialmente nelle solenni feste , recitavano , o cantavano pubblicamente le loro canzoni, talora an- che improvvisando , e sfidandosi ad un poetico certame (4) • Da ciò si deduce che la lingua provenzale era ottimamen- te intesa in Italia, anzi gì' italiani poeti scrivevano in quella dispregiando sempre la loro volgare. Fra i molti italiani poeti coltivatori delle provenzali muse, si sol- leva straordinariamente Sordello manto- vano, poeta a un tempo, e cavaliere er- rante ; e di Ini, come tale, sono tante le avventure, e amorose, e guerriere narrate
(4) V. Murat. Antich. Estea. tom. 2. Vi si parla di Mastro Ferrari celebre improvvisatore. L'accoglimento grazioso fatto da A zzo VII e del- la sua corte ai provenzali poeti, diede origine a molte di siffatte poesie in lode delle sue figlie .
"9
q4 D^I- R'^'- t>KTXE SCIEN. E LETT.
dai Platina, dal Nostradamus, e da altri scrittori , che ci sembra leggere i Ro- manzi dei reali di Francia , o di Artìi, G degli Amadis . Poche sicure notizie per altro ne abbiamo ( 5 ) , dalle quali si deduce , che fu uomo di alto alia- re , e assai rinomato per le provenzali poesie. IMa mentre si cantavano in Lom- Lardia i rozzi versi provenzali '6) , nel Lei clima di Sicilia le Muse facevano migliori progressi , favorite non solo da quella corte , ma singolarmente onorate da quei sovrani che non sdegnarono di trattar la poetica lira , e di gareggiare coi poeti migliori del loro tempo. Fede- rigo n fu uno dei maggiori promotori di
(5) RolandJDO, scrittore contemporaneo a Sordello , pone le avventure dentro i giusti li- miti . Da lui si deduce, che forse fu parente di Ezzelino, che gli sedusse la sorella Cuniza, con altre circostanze. Dante ne parla nel Purgatorio, come di uomo di alto affare, nomina Cuniza nel Paradiso , e la pone nella sfera di Venere per esser passata per delle avventure amorose . An- che Benvenuto da Imola parla di Surdello sullo stesso tuono.
(6) In tutte le poesie provenzali di qiìci tem- pi , o MS. o stampate , non si trovano per io I^iù, che idee assai cuhìuuì e concetti iicCicaJi.
SAGGIO SECONDO 9^
Ogni sorte di letteratura, come abbiamo •veduto (7). Ma le Muse f (irono da lui , e da' suoi fioli Manfredi ed Enzo sin£;olar- mente coltivate, e si riguardano ancora con venerazione i poetici frammenti, cbe di essi ci restano. Per esser mecenate dei dotti conviene aver la capacità di apprez- zar da se stesso, e non col giudizio al- trui gH uomini di vaglia. Tali erano i si- culi sovrani. La loro corte divenne i! cen- tro dell'eleganza e della letteratura d'Ita- lia anzi di Europa (8), e il siciliano dia- letto si sollevò ad una dignità da sperare' Ja superiorità permanente su tutti gli altri d'Italia, ciocche sarebbe avvenuto, se meno disgraziate vicende , ed una corte dello stosso gusto avesse avuto in seguito quel regno, appunto nello svi- luppo dell'italiana favella. Dante avea fatto alla siciliana lingua quel presagio,
(7) h'ìb. 3. cap. 5.
(S) Ciò è tanto vero, cheli fiorentino Arrigo da Settimpllo , poeta latino uon dispregevole di questi tempi , imitando Boezio , e facendo par- lar la Filosofia, le fa dire che la sua abitazione era in Sicilia, Mehus , Vita Ambios. CamiUI, toni. I , pag. i4^.
gG DEL niN. DELLE SCIEN. E LETT. ignorando che egli stesso dovea essere il principa! distruttore del di lei regno (g).
E già in molte parti dell' Italia si co- minciavano a piegare rozzamente i vari dialetti all' armonia del Terso. Non si sa però precisamente quando, e dove si sia cominciato a scrivere in perfetta lingua italiana. Esisteva nel tempio principal di Ferrara la seguente iscrizione:
In mille cento trempta cinque nato Fu questo tempio e a Zorzi dedicato Fu Nicolao scolptore E Glelmofu l'autore.
Coloro, cbe hanno preso a sostenere, che si sia cominciato a scriver più tardi l'ita- liana poesia, vogliono Tiscrizione impres- sa in tempo posteriore, giacche sarebbe contro di loro un argomento senza repli- ca. Ma si appoggiano eglino su buone ra- gioni? A noi paiono assai leggiere. La pri- ma è r ispezione dei caratteri copiati già e conservati : la forma di essi al Tirabo- schi non pare di quei tempi; ma al con- trario lo pare al padre Ireneo Allò : de- terminate la vostra opinione da sì buone
(9) De Vuìg. Eloq.
SAGGIO SKCONDO 97
ragioni. 11 Tiraboscbi oppone un altro argomento che crede più valevole, che non si scrivessero cioè in quei tempi mo- numenti pubblici in lingua italiana. An- cor qui s' inganna : basterà riferirne uno, scritto anchf^ avanti, che trovasi sulla pi- sana Verrucola , in un bastione verso po- nente: a di dodici Grgno M. C. TU. (io), onde cadono tutti gli argomenti; e l'iscri- zione di Ferrara potrebbe pur essere del tempo, che indica , e quei versi benché italiani, per la singolarità di esser dei primi j potevano aver l'onore di divenire un pubblico monumento.
Vi è un'altra celebre iscrizione iti versi italiani di casa Ubaldini, dei tempi in cui l'imperator Federigo l venne in Toscana (i i). Questa si tratta di apo- crifa dai Tiiaboschi, perchè vi è sbaglio
^1 o) Cav. Flam. dal Borgo, diss, 8. Parimente sotto l'aono i 256. si ripo.ta un'altra ritlicola iscrizione italiana, fissata al confiae degli stati pisaai coi genovesi in onta di c|ue5ti, cioè : Scopa Boca al Zenoese , Crepa cuor al Fortovenerese, Streppa Borsello al Lucchese, Dal Borgo diss. 4» in nota. (i i) Bjrijhiui , Disc. p. a.
C]8 DF.L RIN. DELLE SCTEN. E LETT.
nella cronologiiì , giaccliè si dice nel- y iscrizione , che Federigo era in Mn- gpllo nel jTiese di luglio 1 184? e nllronde RI crede dai più esatti cronologisti che non vi fosse, che l'anno appresso. Questa è una migliore ol/iezione, ma cì»i volesse sofisticare potrebbe dire , quanto facil- mente si sbagliava la cronologia di quei tempi d'ignoranza, e aggiungere, che lo stesso GioTanni Villani pone la venuta di Federigo nel luglio 1184.
Vorrei poter con fondamento sostene- re, che il primo nobilitatore del volgare italiano, che dalle bocche del volgo lo portasse alle carte imitando i siciliani , fosse un Toscano , cioè Lucio Diusi di Pisa : ma le memorie di questo pregio tanti secoli posteriori al fatto , ed ap- poggiate a IjHse troppo instabile, lasciano nella mente di un saggio critico almeno una ragionevole incertezza. L' esistenza di quel poeta è fondata sulla asserzione di Pier Francesco Giambullari vissuto quattro secoli dopo; esso nel libro Origi- ne della lingua ftorentinarìporta nn so- netto supposto scritto da un Agatone Drusi a Gino di Pistoia, e comunicatogli da un Pietro Orsilago di Pisa : eccolo:
SAGGIO SECONDO 99
iS"^ il parando avolo mio ^ che fa il primiero Che il parlar Sicilia n giunse col nostro. Lassato avesse un'opera d' inchiostro , Come, sempre eh* e' \'isse , ebbe in pensiero }
Non sarebbe oggi in pregio il buon Rumiero , Arnoldo prouer^zal , uè Beltram mostro , Che cjuesto dei Poeti unico mostro Terria di tutti il trionfante imvero.
Ei di seiitenzie , e di amorosi detti Gli vinse , e di dolcissime parole ^ Ma nell in<.'enzion vinse se stesso.
Non Brunellesco o Dante sarian letti . Che La luce di questo unico Sole Sola rilucerla lun^i e dappresso.
Ci si parano innanzi molte liflessiuni. Se quest' uomo rese sì segnalato servigio all'italiana poesia, coiii^è avvenuto, che ninno ne abbia parlato di quei, che han- no date le debite lodi agl'iLdliani antichi poeti , come ha fatto Dante , Petrarca , ti tanti altri scrittori ? Come mai questo dei poeti unico mostro è andato negletto dai suoi contemporanei, e da tanti altri di poco posteriori scrittori ? come la luce di quest' unico Sole è restata all'oscuro? Se l'autore del sonetto non lia veduto i poemi di Lucio perduti per miire, come può egli, asserire che se si fossero conser- vati , tantci era iu loro eleguiii.a , che
100 ry'El. niN. DELLE SCIEN. E LETT. Dante non sarebbe stalo più letto? Dopo la supposta disgrazia essendo morti ap-. pena nati quei poemi , come hanno i to- scani imparato da lui a poetare? che ha egli dunque fatto? Che significano quelle parole:
Jl parlar sicilian giunse col nostro^
Si dice: le par()le italiane finivano in con- sunanti, ed egli ha insegnato a terminar- le in vocali, come le siciliane: si suppone senza prove, che terminassero in conso- nanti, comecché il Drusi insognasse a terminarle in vocali (12). Questo istesso
(f?.) Vi Ila lutto il fondampiito di credere, che ]p parole latine, nel cangiarsi che facevano • n italiane, piendessero subito la desinenza in vocale. Si consulti la Carta dell' arcìiivio di Lucca, che è del secolo viii, o al più del ix riferita da noi (sa^L;io primo, ton. 1) scritta con latino barbaro nelle stesse parole e maniere italiane malamente latinizzate , e si conoscerà , che le pa^-ole terminavano fin di allora in voca- le. Quanto sj \ iene più avauti , si trova la lin- gua italiana più formata , ma composta di pa- . l'ole , che terminano in vocale , come più chia- ramente si scorge in una Carta punblirata dal- l' Ughelli (Jtal, Sacr. tom. g.} die appartici. e all' anao i 122 ove si tratUa di co&Gui dei beni
SAGGIO SECO:!?DO lor
sonpllo . che si adduce per fondnmento dell'ipotesi, lia egli la tinta dei tempi di messer Gino ? quHJcuno vi troverà uno stile più franco, e meno duro di quello allora usato , e perciò potrà cader so- spetto di esser opera di tempi più bassi. Dopo tutte le addotte riflessioni , il let- tore interroghi il suo intimo senso, e fac- cia il giudizio che quello gii detta.
Dei siciliani scrittori in volgar poesia, il primo i di cui versi sieno a noi giunti è Giulio dal Camo. Dopo lui , di quasi a lui contemporanei se ne contano molti ,
dpfrli arrlvrseovi fli Rossano. Trovansi in pssa molte rozze parole italiane terminate in vocale , come la terrò ad Iurta esce per la ditta serra a Groinico, e li fonti acfjua trondente in werso torilliana, ed esce per dicto fonte allo Vallone de Vrsara e lo Vallone opendino cala a lojlir- noetc. Radevico (Cronic, esua continuazione I. 2. cap. 66) racconta che nell'elezione dell'anti- papa V^ittore , anno i ' Sg , i suoi partigiani si udirono gridare papa Vittore santo Pietro lo elegge: onde si scoige in tutti i monumenti che restano ^ che le parole della lingua italiana terminavano in vocale prima dell'età del sup- posto DfHsi.
Pi^n. T. V, IO
TOi DEL RIN. DKLLE SCIEN. E LET. ed una lunga lista di altri rozzi poeti italiani, la quale acquisterebbe una sin- golare celebrità , se realmente tì si po- tesse contare s. Francesco dì Assisi (i3), e il suo compagno fra Elia da Cortona , come vi si conta fra Pacifico suo disce- polo, (che coronato poeta da Federigo II, dalle profane Muse fu dal santo chiamato al chiostro) e come vi si contano i due re di Sicilia Federigo il , e Manfredi, Enzo di Sardegna , e il rinomato Pier delle Vigne (i4)- La toscana sopra tutti
( I 3) I cantici a lui attribuiti furono da esso scritti in prosa , e da qualche incerto scrittore posti in versi. P. /rea. -^ffò, disser. su i can- tici di San Francesco.
(i4) Fra Pacifico fu certamente uno dei pri- mi poeti italiani, mentre stette al secolo, ed ebbe anche tanta celebrità da esser coronato da un imperatore ; poscia s. Francesco lo trasse dal Parnaso al chiostro , e la sua Musa si tacque. Se questo poeta non fu santo , lo fu il beato Jaco- pone da Todi , di mi si conservano ancora le poesie. Egli in varj tempi sostenne nel mondo tre diversi caratteri, di poeta, di stolto, è finalmente di sauto. ( V. il Crescim. Comm. della Poesia tom. 2. Quadrio Ist. della poesia tom. 2. ) Sciisie delle poesie contro papa Bo- nifazio Tiii , onde quand© questo occupò Pale*
SAGGIO SECONDO Io3
gli altri paesi abbondò nel secolo Xiii dei primi coltivatori delle Muse italiane . Appena v'ha città o castello, che non ne vanti alcuno. Folcacchiero , Mico , Bartolomnieo Maconi ec. temprarono la rozza lira in Siena: Gallo, o Galletto, Girolamo Termagnino , Pucciandone Martelli in Pisa: Meo Abbracciavacca ia Pistoia: il giudice Ubertino in Arezzo: Folgore in s. Gemignano : Terino in Ca- stel fiorentino; e questa lista si potrebbe allungare straordinariamente , se al nu- mero corrispondesse il genio, e l'elegan- za (i5) : ma ninna città ne ba data una lista si lunga al par di Firenze. Tutto- ciò mostra quanto le Muse italiane fino dal primo loro nascere spirassero con de- lizioso piacere l'aure gentili delle tosca- ne colline. Da questa folla di poeti na- scenti couvien distinguere alcuni o con-
Btrina , lo condannò alla prigione , davanti alla quale passando un giorno il papa domandò ad Jacopone quando crederebbe di uscirne, egli rispose ' quando ^'i entrerai tu , lochè si veri- ficò in breve tempo. Le sue poesie, benché assai rozze, fanno testo di lingua.
(i5) V. Crescirab. della volg. poeiia tom. 3. Quadrio , ee.
104 DEL RIN. DELLE. SCIEN. E LET.
temporanei , o predecessori di Dante , e sopra ognialtro ser Brunetto Latini figlia di Buonaccorso dei nobili da Scaniiano. Fa , secondo l'uso di quei tempi, uomo di atluri , e di lettere, per usar le parole di un antico storico, digrossò i fiorenti- ni , e gli fece scorti in ben parlare , e in saper guidare, e reggere la repubblica secondo la politica (16} : servi la patria coi suoi talenti nelle pubbliche cariche; i tempi difficili , nei quali visse , lo in- volsero nelle fazioni; seguace della Guel- fa che dominava in Firenze, fu come il più eloquente, nell'anno 1260, inviato con altri ambasciatori ad Alfonso re di Castiglia, e Leone eletto re dei romani, per invitarlo a venire in Italia, e con- trapporlo a Manfredi promotore dei ghibellini . La fatale rotta di Monte Aperti interruppe l'ambasciata. Fu Bru- netto con tanti altri obbligato a ritirarsi in Francia, ove scrisse il suo Tesoro \n lingua francese , che contiene precetti di morale, politica, filosofia , ed eloquenza. Sono languidi raggi di luce, che appari- scono fra una grande oscurità : ne si vuole omettere , che in esso parlasi delia
(16; Gio. Vili. Stor. lib. 8, e. io.
SAGGIO SECONDO io5
bussola da navigare , inveuzione falsa- mente creduta posteriore. II Tesoro ori- ginale è inedito , e se ne conosce solo la traduzione di Bono Giamboni. Il Teso- reLto poi è una specie di compendio del Tesoro scritto da Brunetto in versi italiani rimati-, e l^immaginazione ha avvivali al- quanto i freddi precetti morali del Teso-- ro. Si finge in esso che 1' autore smarri- tosi in una selva incontri la Natura ; che gli ragioni di tutto ciò , che può ador- nar l'intelletto ed il cuore. La tradu- zione di alcuni squarci di Sallustio, del libro dell'invenzione di Tullio , e le sue orazioni non hanno altro merito , che quello dato loro dal tempo , in cui sono scritte , né vuoisi consigliare alcuno a leggere il Pataffio per non diminuir la stima di quest' uomo. Ritornò per le so- lite vicende alla patria, e fu certamente il più dotto della sua età Non è a lui pic- cola gloria r essere stato maestro di Guido Cavalcanti , e di Dante. Morì nel- r anno 1294 > G ^^n decente sepolcro nel cbiostro di s. Maria raassiore atte- sta la gratitudine della patria (17).
(47) Serie dei Ritratti d'illustri toscani.
io*
lo6 DEL "RIN. DETJ.E SCIEX. E TET.
Dopo Brunetto giova rammentare aU cuni altri come Guido Guinicelli, benché non toscano, ma bolognese, in grazia della stima, che n ebbe Dante; Guido Cavalcanti, Fra Guittone di Arezzo, e Gino da Pistoia resi illustri forse più dai versi di Dante, che dai loro propri. La causa delle lodi da esso date a Guido Guinicelli, e forse pei" lui ai bolognesi, si cerca invano nei suoi versi ; ma egli lo chiama suo padre e mae- stro, e si rallegra tanto a vederne T om- bra , perchè probabilmente al tocco, ben- ché debole delle sue corde, T anima poe- tica di Dante ancor tenero si era desta, ed area cominciato a batter la carriera di Parnaso ; e una dolce venerazione, ta- lora anche soverchia, si conserva ai primi nostri maestri. Maggiori scintille di poe- tico genio compariscono nelle canzoni di Guido Cavalcanti, dotto gentiluomo fio- rentino, riconosciuto da Dante per su- periore al Guinicelli, che dopo aver sof- ferto ancor esso nelle discordie della pa- tria , come Dante , T esilio , potè ritornar- vi per breve tempo a finirvi i suoi gior- ni. (18) Questi sono assai lodati da Dante,
(18) Nelle sue poesie il Cavalcanti cel»'hra •pesso Mandetta di Tolosa, di cui probabilmeute
SAGO IO ^ErO'T»0 TO-^
ina r intimo senso gli clicea,cl)e valeva più di loro: lo che, quantunque da lui •velatamente si esprima , il velo però è assai trasparente. (19) Fra Guittone di Arezzo non solo dev'esser nominato tra i fondatori dell' italiana poesia , ma come quello che ha dato legge e ibrma ad una delle più leggiadre composizioni , ciiè al sonetto, (20) che, quantunque per la rigida legge dei contini tra 1 quali è ri- stretto, sia assomigliato al Ietto di Pro- custe, innumerahili poeti italiani hanno saputo felicemente adagiarvisi, e si può dire che quel genere di poesia appartenga quasi esclusivamente all'itatia, contando tanti e sì leggiadri sonetti lu nostra lingua,
s' inuamcnò nel pellegrinaggio a s, Jacopo di Galizia, ranimeututo da Dino Compagui. La sua cdnzone sul terreno aiuore ebbe una slraordioaria celebrità, giacché fecero a gara a corutnentaila E.^idio Colonna , maestro Dino del Gaibo, JaC(.'po Mini, Plinio Tiiiuacelli , Pagolu del Bjsco ec, celebrità che ai lettori moderni forse parrà so- verchia. (19) Così ha tolto V uno all' altro Guido Li pjoria della lingua , e forse e nato Chi e' uno e V altro caccerà di nido^ Dante* ^20) Gresciiub. Ist. della Tolg. poes.
ìo8 DEI. RIK. DILLE SCIEK. E LET. e sì plichi le foresi iere. Fu fra Guittone dell' ordine dei cavalieri Gaudenti, cava- lieri, che invece di essere i sostenitori dei cavallereschi puntigli delicatamente ri- dicoli , professavano il lodevole istituto di rappacificare i nemici , e rimettere l'ordine, e l'amicizia nelle città divise dalle fazioni. Di lui abbiamo delle lettere, che sono le pi ime scritte in lingua italia- na : pio e devoto ,. egli fu il fondatore del monastero degli Angeli di Firenze. Tolti i nominati, tutta l altra numerosa folla dei poeti contemporanei a Dante , o di poco posteriori, è immersa nell'oblio donde è stata tratto tratto dagli eruditi dissotterrata per mostrarsi un momento, e subito ricadérvi.
In bocca di costoro la volgar poesia ancor ha m bilia balbettava rozzamente. Dante la condusse all'età del vigore, e mostrò, die r Ila poteva sollevarsi alla dignità delia ma- dre. Abbi amodiffusamente mostrato quan- to gli debba la lingua italiana nell'esporne la nascita , e i progressi. [i \) Ma conviene arrestarci alquanto sopra un uomo grande, e sventurato, e che pare giustificare quelT apoftegma di un illustre filosofo,chcquau-
(21) Saggio primo, tom. 1.
SAGGIO SECONDO 109
do la nntura donafe la clona tanto raramen- te jla subì imita dell'ingei^no,raccomp'ng?ia con queir anatema; sii uomo grande ^ e sii infelice: {11). Nato Dante di nobde, e antica prosapia in Firenze ; non valutando questo prei^io , anzi credendo contro i go- tici pregiudizi, che invece di prender lu- stro dal tempo, vada sempre oscurandosi, se dai discendenti non sia tratto tratto avvivato con belle imprese, (23) servì la patria da ottimo cittadino^ e la illustrò colle sue opere. La natura nell'impa-tare le qualità necessarie a un gran poeta, le La congiunte con un'anima estremamente sensibile. Di questa dette segni anche troppo solleciti Dante, che all'età di 9 anni non ancor compiti, veduta una fan- ciul letta di circa la sua età, Beatrice figlia diFoicoPortinaricittaduiofioreiitino,(24)
(23) D'Alembert^ Eloges de l'AcademieFran-* caise.
(23) Paragona la nohilrà ad un mantello, clie va continuamente scorciandosi, Farad, cant, (6. Ben se' tu manto , che presto raccovce , Sicché se non s^ uppon di die in die , Lo tempo va d' nilofno colla force. (^4) F" ^^*o i' fondatore dello spedale di s* M^ria uuwya^ <iu. 1:^80,
7 io t>F.T. R1N. DEO,E SCIF.N. E LET. restò profondamente ferito di amore , lo che appena si crederebbe, se non ce ne facesse fede egli stesso nel principio della Vita nuova. Dalia singoiar maniera di descrivere quest' avvenimento , si può conoscere e la sensibilità delT animo , e il fervore di un' immaginazione straordi- naria. Fa fortunato quest'amore per l'ir- taliana poesia, giacche destò di buon'ora la musa di Dante , e la volse a scriver dei versi lirici per la sua donna, che furono, un preludio al gran poema. In questi versi giovenili si mostra assai superiore a chi lo avea preceduto , e a quelli con cui vi- veva ; e chi è esercitato nella lettura del canzoniere del Petrarca riconoscerà non poche traccie dei pensieri, e delle frasi di Dante. (25) L'amore così fervido , come
(2 j) Per esempio la canzone 1 3 ( ediz. di Ve- nezia dello Zatta ) sulla morte di Beatrice : Cki/nè ! lasso , quelle trecce bionde ,
Dalle quai rilucieno
D'aureo color li poggi d' ogn' intorno^
Ohimè J la bella cera ....
Ohimè ! ti fresco , ed adorno ec, è imitata dal Petrarca nel sonetto
Ohimè il bel viso , ohimè il soa^e sguardo! Del sonetto che incomincii .
SAGGiO SECONDO ' l r
nei gentili animi aTviene,non solo non gì' impedì le serie applicazioni, anzi lo spinse ad opere gloriose. Fu istruito spe-
lo maledico il dì , di' io l'idi in prima La luce dei vostri occhi traditori , E il punto , che veniste in sulla cima Del core a trarre V anima di fuori: E maledico V amorosa lima ec. si scorge la medesima orditura in quello del Pe* trarca ,
10 benedico il mese , il giorno, e l' anno eo. Ed alla vergine:
T'u sai che in te fu sempre la mia spene. Parimente nelle ballate prima e seconda, assai eleganti , si troveranno dei bei pensieri imitati dal Petrarca. La settima è lui^ imitazione della favola della cornacchia di Esopo, con qualche felice variazione.
11 sonetto terzo
Ella mi ha fatto tanto pauroso ,
Poscia eh' io vidi il mio dolce sig'- ricorda 1' altro
Da^li cechi della mia donna si move Un lume si gentil, che dove appare Si veggon cose , c/i" uom non può rit-- Per loi^o altezza , e per loro esser nuov -:
E dai suoi yciggi sopra il mio cuor piove Tanta paura ec.
*T II i^ft: tiTn. dt:txe scie?:, e let.
ruilmente du per Brunetto Teatini. ]\fa Dante avea poco bisogno di maestri.
Tutti i IcLjgitori, e i conimentatori di Dante si sono maravigliati . e lo hanno accusato d' ingratitudine, per aver coo- dannuto all'interno per un peccato infame il suo maestro Brunetto: non lo ha cer-^ tamenle fatto per odio, che gli portasse, giacche trovandolo in quei luogo gli paria con tenerezza :
Che ìnla mente mi t fìtta, ed or mi accora La cara buona imaginepaterna Di ^oi ^quando nel mondo ad ora ad ora
J\J'inseg?iauate come Vuom si eterna ;
£ quanto i o r abbi a i n grado fin che i o i^ivo Convien, che nella tuia lingua si scerna.
Pfon si può spiegar ciò in altra guisa, se non supponendo, che Brunetto fosse si ditìamato per quel vizio, che il porlo al- trove fosse parso un tradir la verità. E in vero una espressione di Gio. V^illani, Con cui dopo un lungo elogio ci dice, ma Jue uomo mondano ^ c\ conlerma nella congettura . JVon era meglio però che Dante lo lasciasse in oblio? Forse egli credette suo dovere in un' oppi a. in cui laceva lufiziodi Minosse, dove avea preso a kwininrirt le persone a lui note, il giu-^
SAGGIO SECONDO Il3
clicarlo secondo l'universale opinione' Con un carattere scrupolosamente segua" ce, ed assertore infìt-ssibile del vero, potè creder Dante, che gli sarebbe rimprove- rato il suo silenzio come un'adulazione al maestro , avendo egli già detto -
E 4' io del vero son timido amico, Temo di perder vita appo coloro, Che questo tempo chiameranno antico.
Coltivava gli studi, e serviva a un temjio la patria, e col senno, e colla spada, quando ne facea di mestiero. Nella san- guinosa battaglia di Campa Idino nel suo ventiquattresiin' anno, combattè valoro- samente , e si trovò nel maggior pericolo: r anno appresso perde la sua Beatrice nel fiordeglianni, ma ne portò fino alla tomba l'immagine scolpita nel cuore. Fu impie- gato in parecchie ambascerie, e in una di queste probabilmente fu a Parigi, (•zò) Si occupò negli studi in quella università; e se deve prestarsi fede al Boccaccio , vi sostenne pubbliche dispute di teologia. Una delle prime dignità della sua patria, cioè il priorato^ a cui fa inalzato , lo In-
(i6) Vita di Dante; vedi Mcmurie ec. Pigu. T. r- II
T i4 DEL ri:j. delle scien. elet. Tolse in lunga serie di calamità, che gli amareggiarono tutto il resto della vita. iSi trovdva in quella carica nel tempo di pericolosa crisi delle fazioni dei bianchi, e neri , cioè quando si trattò se ricever si dovesse in Firenze il re Carlo mandato dal papa , apparentemente per sedar le discordie , ma in realtà per cacciarne i bianchi. Dante, non solo come aderente al partito dei bianchi, ma perchè cosi portava 1' utile , e la pace della sua patria sostenne che non si ricevesse. Ma la frode e la forza ve lo fece ricevere nell'anno i '60 t onde avvennero tante calamità ai bianchi a suo luogo descritte. (27) Dante, che si trovava ambasciatore al papa, fu condan- nato all' esilio, e ad una grossa multa pe- cuniaria: e siccome 1' iniquità amava di prendere una vernice di giustizia , e si cercava un pretesto, fu assente condan- nato, nel 27 gennaio iSoi, per baratteria supposta usata nel suo ofacio del priorato. Si è vertuto con quanto poca equità si facessero in Firenze -i giudizi crimina-» li : (^8) terminato il suo impiego, aveane riportata la solita approvazione, onde la
(27) Lib. l. cap. 8. (•i8) Lib. 3. cap. 8.
SAGGIO SECONDO I \5
sentenza fu per ogni lato ingiusta. (29) ;Non solo r irregolarità del giudizio, e la rabbia del partito manifestano l' iniquil ì della sentenza, ma anche l'opinione co- mune dei posteri, continuata dai tempi di Dante ai nostri, che lo considerò come vittima delle fazioni. Da questo punto cominciò per lui una vita infelice. Dagli agi della sua casa, dalln situazione onore- vole di principal cittadino di una delle prime repubbliche d' Europa, esule, e costretto a mendicare il pane (3o) alU corte dei principi, e dei potenti signori d' Italia , dotato di un carattere severo non facilmente pieghevole, e perciò mal atto a piacere in quei luoghi, sipuòdire, che pel resto della sua vita fosse infelice. Benché accolto benignamente da molti iiignori italiani, e in spscie da quei della
(29) Qucst' alto di commedia , ossia il giudi- zio e condanna di Dante, fu ritrovato dal Savioli nell' archivio delle riformagioni.
(30) Lo dice chiaramente in quei versi ^ che pone in bocca a Cacciaguida ( Par. e 17.)
Tu proverai si come sa di sale
Lo pane altrui ; e quanto è duro calle Lo scendete e salir per V altrui scale.
T 16 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET. Scala, (3 1) un ospite del suo carattere non poteva a lungo esser gradito; molto più essendo dotato di tanto alti pregi da eclissare tutti gli altri cortigiani per dot- trina , e talenti, lasciandoli sotto di se a gran distanza; superiorità, che bisogne- rebbe aver l'arte di nascondere, o farsela perdonare con molta umiltà, e talora bas- sezza : qualità, che non albergavano nel cuore di Dante. (3i) Abbandonata la corte
(3 I ) Si danno jran pena i critici per aggiustar la cronologìa di vari ospizi di Dante. Si conviene per le memorie, che si hanno delle azioni di esso, che fosse accolto dal marchese Morello Malespina, e poi passasse alla corte dei signori della Scala. Ma se ciò è vero, come poteva il sao antenato Carciaguida predirgli ( Farad, e, 1 7 )
Il tuo primo rifugio , il primo ostello Sarà la cortesia del gian Lombardo? Che in sulla scala porta il santo uccello. Non può in altra guisa sciogliersi il nodo, che interpetrando aver Dante voluto signiGcare il principale per primo cioè ov' ebbe più lungo o più splendido ricovero.
(3'i) L'odio dei cortigiani ,e la stima a un tempo verso Dante , si scorgono in quella indi- screta interrogazione di Cane a Dante , e nell'a- mara risposta di questo riportata dal Petra'^^
SAGGIO SECUiNDO II7
dei signori della ScaLi , andò errando que- sto disgraziato uomo per l'Italia, mendi- cando un ricovero, (33) e accolto onorifi- cairiente! dappei Lutto, terminò firjalmente in llavenna presso i signori da Polenta una vita infelice. (34; ^i racconta che egli la tinisse, vestendo 1 abito religioso di san Francesco, in qualità di terziario: come probabilmente lo aveva preso , e
( Rer. memor. lib. IV.) Gli dimandò un giorno Cane qual mai era il motivo , che un balordo bulTuiie, che si trovava alla sua corte, fosse amato da tutti , ed egli , riconosciuto per uomo grande, <.diato da tutti? Piispose t'raucameute Dante, non esser maraviglia , giacché 1' amore ed ami- cizia nascono da somiglianzà di carattere. L' in- terrogazione avviliva Danle ; la risposta gli av- viliva tutti. Sarà difli^'ile il determinare da qual parie tosse maggiore 1' indiscretezza. E tacile il vedere, che dopo u.ia siffatta risposta la corte della Scala non poteva es^er più dbitazioue pef Dante.
(33) Questi viag",i di Dante e i Nari asili si posson leggere in molti libri , \na in specie nel's diligenti uiemorie sulla vita f\i Dante dell' eru' ditissimo sig. Pelli; nell'ist. lett. del Tirab. oc.
(34) Ei'a nato nel 1265, e inori nel i3ii , alla eia perciò di uinii ótJ.
11*
1 iS DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET. deposto nella sua adolescenza. (35) Il tem- po, che spegne gli odj, e pone gli uomini grandi al loro posto, facendo conoscere ai fiorentini l'ingiustizia, tentarono essi, ma invano più volte di averne le ossa : forse la sua ombra , se fosse stata evocata avrebbe detto come Scipione: inorala patria, non possederai le mie ceneri.
jNel tempo dell' esilio scrisse per la maggior parte l' opera sua più sublime , cioè la Divina Commedia, come Miitoa nel tempo della sua cecità e disgrazia scrisse il Paradiso Perduto. Il sublime la- voro tu però, secondo le migliori conget- ture, cominciato in Firenze. Molti scrit- tori hanno voluto negare a questa città, come crudele matrigna di Dante, la glo- ria di averne ispirato il sublime pensiero, e i primi alti concetti . Fra questi si è distinto il Marchese MafTei, che dall' es-
(35) Che Dante vestisse 1' abito religioso di 8. Francesco neUa sua adolescenza, è attestato da un coroment.itore, il Buti , che scrisse soli --a anni dopo Dante, onde è di qualche peso la sua asserzione. I giovani , e specialmente quei dotati di fantasia fervida, fanno spesso leggermente siffatta risoluzione. \ì sig. De Segrais chiamava questo feivor passeggeri. , il vaiolo dello spirito.
SAGGIO SECO^^DO T19
ser nominato nel primo canto il gran Veltro, da lui interpretato per Cane dei- Ja Scala, crede, cbe il complimento sia fatto per gratitudine della benigna acco- glienza, e perciò ne deduce, che lo stesso canto I sia nato dopo T esilio; quasi noa avesse potuto lodarne V anima generosa anche prima di sperimentarne i benefizi. Altri notò, che nel canto VI Ciacco gli predice la cacciata dei Bianchi, in cui egli fu involto. Convien fare sa questo ar- ticolo un' importante osservazione . In opere lunghe non di rado avviene , che dopo averle compite, o almenoessersi in quelle assai avanzati, i poeti vi tornano so- pra, e vi tolgono, o vi aggiungonoMei pen- sieri, che credono opportuni, e tali sono o i complimentijO le profezie. Boileau quan- do era irritato , o quando si riconciliava con qualche autore, ne inseriva, o ne to- glieva il nome dalle sue satire. Egli è per questo, che nel Dittamondo di Fazio degli Uberti riesce impossibile aggiustar la cronologia senza questa supposizione (36). Chi avesse il manoscritto primo di Dante, chi sa quante potrebbe osservare di siffatte addizioni . Il complimento fat-
(36) Tiraboschi, Ist. della letter. tom. 5,
I20 DEL KìN. DELF.E SCIEX. E LET. to al gran Veltro, Ja profezia di Ciacco , e forse nncl^e quella di Farinata , sono probabilmente aggiunte in appresso. \]n l'atto, cbe non ba l'aria di essere asreiunto dopo, è la domanda l'atta nel canto X da CaTalcante se il suo fìgiio è in vita : la risj).>sla affermativa cbe Dante ne dà a Farinata (gìaccbè l'altro non ba la pa- zienza di aspettarla ) pare dimostri cb.ia- ramente , cbe quando Dante scriveva il canto XVI Guido Cavalcanti vivesse : esso morì innanzi all'esilio di Dante, cioè nel i3oo,come nota Giovanni Villani: resta })erciò provato cbe al tempo del suo esi- lio, era il poeta tjmnto almeno al decimo canto, e forse più oltre. INDn vi ba alcun ragionevole motivo cbe il Cavalcanti fos- se morto, e cbe Dante lo finga in vita : onde questo passo mostra, cbe il poema l'u cominciato in Firenze. E' ancbe di qualcbe jteso l'autorità del Boccaccio, na- to j^rima della morte di D^mte, cbe atte- sta essergli stato contato da x\ndrea di Leone Poggi cugino di Dante, aver esso dato a legi;ere a Dino di Messer Lam- J)ertuccio Frescobaldi i primi sette canti, cbe forse eran quelli cbe avea messi al pulito. ?sè moUodibtiinte da quell età era Franco i^accbclti , cLc ci racconta 1' a-
SAGGIO SECONDO UT
neddoto della bizzarria di Dante, e in che maniera si vendicò di quel fabbro, che storpiava cantando i suoi versi come una volgare canzone ( novella 1 1 4 ) > aneddoto che dovea comunemente esser noto. La Vita nuoy'a fu da Dante scritta prima del suo esilio, in Firenze, subito dopo la morte di Beatrice , come dalla stessa si deduce: or ivi si scorge che o aveva inco- m^inciato a scrivere o ad immaginare al- meno il vasto soggetto, nella prima can- zone, che incomincia :
Donne che avete intelletto d'amore y
fingendo che i beati domandino a Dio che voglia ornar il Paradiso coli' anima di Beatrice ,
Lo CìelOf che non ha altro difetto Che d'aver lei, al suo Signor la chiede.
Iddio risponde:
Diletti miei , or sofferite in pace Che vostra speme sia quando mi piace y Là ora è un, che perder lei s' attende f » Eche dirà nelV Inferno ai malnati^ n Io vidi la speranza dei beati:
onde il poema in quel tempo o era inco- minciato , o imaginutane la tessitura .
Ili DEL fllN. DELLE SCIEN. E LET. Il dotto Sig. Cauonico Dionigi tanto be- nemerito della divina Commedia lia di- mostrato colia più scelta erudizione che Dante non riparossi a Verona, che dopo l'anno ioti. Morì nel i320; si può egli immaginare che sì gran lavoro fosse inco- minciato sì lardi, e sì presto compito (07)? Da tutto ciò pare non possa porsi in dub- bio che all'epoca deiresilio di Dante il poema non solo fosse già cominciato, ma anche assai avanzato . Ma occupiamoci nel grandioso lavoro , piuttostochè nelle circostanze. Niente è più inutile , dice un gran scrittore inglese , facendo delle os- servazioni sul paradiso perduto , delle questioni di nome; onde lasciando a par- te, perchè Commedia (38) abbia Dante
(3 7) Serie di acedd. ec, Sagg« di critica so- pra Dante .
(38) Dante nel libro de bulgari Eloquentia^ distingue tre sorti di stili: prr Tragoediam su- per iorem stilum l'nduimut ; per corno ti diam in- feriorem, per elegtam stilum intelligimus mi-
serorum -.onde si deduce che intitolò Commedia il poema, intendendo di scrivere nello stile di mezzo . Questa osservazione che si attribuisce •1 Marchese Maffei, era stata fatta dal Tasso al- la lezione sopra il Sonetto del Cau Questa vita mortai ec.
SAGGIO SECONDO T-ìS
clììamato, ciocché altri vorrà appellar Poema , basta 1' osservare , che dentro vi si trovano bellezze d'immaginazione , e di stile eguali a quelle di Omero, di Virgilio, e di qualanqae altro pia gran poeta; gl'ingegni sublimi sono inventori, invece di esser servi,e imitatori di altrui. Noi non abbiamo in questo genere, che cinque o sei capi di opera , ossia grandi poemi narrativi. Omero ha scritto V Ilia- de Eon con quella regolarità, che vorreb- be un freddo critico: il modesto e timido Virgilio lo ha imitato, temperando con più ragione il minor fuoco della fantasia, e supplendo colla morbidezza e soavità di un colorito, che è sempre piacevole agli occhi, alla forza; che qualche volta gii manca. I critici, osservando quei po- emi , banno scritte le regole , ed hanno detto agli altri poeti, eccovi le tracce so- pra di cui dovetecamminare,i limiti, che non vi è dato di oltrepassare. Ma Dante, l'A-riosto, e Milton noneran fatti perchiu- dersi in limiti, e seguir delle traccie ser- rili. Nati per essere creatori, hanno bat- tuto nuove strade, e snn giunti a farsi ammirare dai posteri. Hanno ottenuto il fine ; doiTque i mezzi eran ottimi : sono stati creati dalla Natura legislatori del
174 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET. gasto, piuttosto che sof»gettati alle me- schine leggi dei critici, leggi che non han- no giammai prodotto alcun capo di epe» ra. Quante più sono le strade , che con- ducono al gran fine di dilettare , e istrui- re gli uo'nini , tanto maggiore si mostra la fecondità della Matura . Queste rifles- sioni sono il termine, a cui dopo tante di- scussioni sulla divina Commedia, l'Orlan- do Furioso,e il Paradiso perduto, conric-^ ne finalmente ridursi. Il poema di Dante non rassomiglia pel disegno ad alcuno diagli antichi o moderni ; è un' originale invenzione poetica di un disegno grande, e nuovo , ove non convien cercare la re- golar condotta col critico compasso di Aristotele ; ma la natura qualclie volta rozza e selvaggia , è più grande , perchè lihera di spiegar tutte le sue forze, e non soffogrita dall'arte. Figuriamoci un'alpe, che sparsa di scoscese rupi ,di precipi- tosi torrenti , di boschi , di colline ci presenta un orror maestoso: xì s'incon- trano , è vero, nudi e sterili massi, spine, rovi, e selvatiche piante, mala procerità, e grossezza di queste , mostra il vigore straordinario della vegetazione. In mezzo anche a questa rozza e selvatica grandez- za si trovano talora amene colline , apri-
SAGGIO SECOXDO Il5
clie vallile prati vestiti di un verde rivo e fresco , e sparsi dei colori di primave- ra. Non è un regolare giardino , che ta- gliato da viali paralleli, o p »sti ad angoli retti , par che una metà di esso rifletta come m uno specchio, 1' altra metà, ove alberi non suoi mal si nutriscono dalia terra, che è loro matrigna, e costretti a prender delle bizzarre figure , svelano l'arte stentata , e l' inTeriorità di questa air irregolare , ma grande quadro della natura. Sotto cpiel punto di vista fa duo- po contemplare la divina commedia. Cosa può ìmaginarsi di più grande , che il di- segno di un poema, in cui una viva ima- ginazione prende a spaziare peri tre re- gni, che la religione insegna esser desti- nati agli uomini dopo la morte? L'opera è consacrata alla religione e alla morale. Chi è Ira i poeti cristiani, che abbia dato alla cristiana virtù un carattere più ve- nerabile ed augusto, e incusso più terro- re ne' rei? Non si vuol dissimulare che il fiele satirico si fa spesso sentire in questo sacro lavoro ; ma è piuttosto zelo contro il vizio, su cui tuona , come dal pergimu un ministro del vangf^l>. Parrà ad alcuno, che lo zelo esca talora dai liiniti) che sceu- JPig. 2. y. 12
1^6 DEL RIN. DELLE SCIE-y. E LET. da a delle personalità; ma egli, trattando una materia si grave, si riguardò come un ministro del cielo, destinato ad esercitare una rigorosa giustizia. E per verità , l'i- storia di quei tempi e dei personaggi con- dannati da Dante , forse lo smentisce ? Conviene anche perdonare qualche colpo del satirico flabello alle sue disgrazie. O- gni scrittore di gusto sparge sulle sue produzioni una tinta dello stato dell' ani- mo , e del cuore. Quello di Dante tanto esulcerato , sovente esodava nei versi la sua amarezza. Questa voglia di slogare il suo cuore lo conduce talora a dei minuti dettagli di persone, di famiglie , e di tat- ti, che interessavano moltissimo i lettori di quei tempi, ma che in proporzione, che ci siamo da essi scostati , diminuito l'in- teresse , ci son divenuti indifferenti o noiosi , e forse nei primi tempi furono quoUi più avidamente , e con delizia gu- stati. Benché rigido osservatore dei do- gmi della religione , e dotato
Di dignitosa coscienza e schietta , A CUI è piccai fallo amaro morso ,
si è arrogato una libertà ne!l" assegnare specialmetite ncir inferno i vari gradi di pena , che non sarà forse approvata dai
SAGGIO SECONDO I 27
più severi ortodossi; e la filosofica com- passione , con cai , temperando l'infles- sibile rigidità della teologia , ha voluto rispettar la virtù di alconi eroi pagani , ponendoli in lungo di dannazione si, ma scevri della pena dei sensi , e Catone tra i confini del Purgatorio , e dell Inferno, come custode di quel passo, sarà da molti biasimata (Sg). E' però in ogni loco , re- ligioso adoratore dei misteri della fede, e condanna altamente coloro, cbe invece di adorarli in silenzio, hanno la profuma arditezza di scrutinarli , come può ve- dersi nei seguenti terzetti :
Matto è chi spera, che nostra ragione Possa trascorrer f infinita via. Che titne una susCanzia in tre persone.
Ed altrove:
£ tu dicevi : un uom nasce alla riva De Vlndo ; e quivi non è chi ragioni Di Cristo ne chi leg^a, ne chi scriva.
Il disegno del poama, come abbiam nota- to, è nuovo; i tratti sono arditi, ma grandi , e qualche volta inimitabili. E'
(3 9) Ha imitato Virgilio lib. 6. Secretostjue yios his danteni jura Catonem,
128 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET; stato detto del Buonarroti , che per la sicara franchezza della sua mano ha espresso degli atteggiamenti, clic niun altro avrebbe osato , perchè non sicuro , come lui 5 della felicità dell esecuzione. Lo stesso può dirsi di Dante: gli orridi atteggiamenti dei condannati alT eterna pene, il fiero pasto di Ugolino, quello di Lucifero , e molti altri simili quadri , eseguiti con deboleaza , invece di un su- blime orrore risveglierebbero il riso. An- che le Furie vivamente espresse , anche r orribil teschio di Medusa di Leonardo da Vinci , ci penetrano di un dilettevole orrore. Se la cantica dell'Inferno special- mente rassomiglia nel disegno al Giudi- zio Universale di JMichel'Angiolo, si trova la stessa conformità anche nel colorito , il quale forte, ma alquanto cupo, è più atto ad esprimere le grandi e sublimi idee, che la soavità e dolcezza di più gentili pittori. JNon è però Dante privo di soavità di stile ; e questa corda, che ha poi fatto tanto onore al Petrarca, non mancava alla sua cetra, che tratto tratto riesce ancor più grata per la varietà. Le patetiche inidgini dell'istoria dolente dei due cognati nell' Inferno sono espresse con una soavità, che forma un contrasto
SAGGIO SECONDO I 5,9
col forte stile, e duramente sublime onde è contata 1 atroce storia di Ugolino; ma nell'altre due cantiche, come più ac- concie al soggetto, se ne trovano più fre- quenti esempi (40). Convien però cercar le rose in mezzo alle spine. Vi son dei lettori, che stancali troppo sollecita- mente dalla durezza dei versi , dall'oscu- rità dell'espressioni , e dalle imagini ta- lora un po' volgari ^giacche per qoal ra- gione si dovreÌ3be dissimulare, che tai difetti non di rado s'incontrano ?) ne ab- bandonano la lettura , e lo giudicano troppo leggermente per un poeta, il di cui merito sta nell'imaginazione dei suoi adoratori. E' facile, ha detto un gran poeta inglese , il vedere i difetti di uno scrittore: le paglie, la spuma, le im- mondezze del mare vengono a galla , ma convien profondarsi in esso per pescare le perle. Era Dante il più dotto uomo dei
(4o) Il Purgatorio è pieno di squarci di sif- fatto stile die non è questo il luogo di additare miuutamente: convien cercarli. Bssti per un esempio il canto 28. È pieno d'imagim ridenti, e scritto collo siile dolce , e sounc quanto Io avieble potuto usate il Petrarca.
I 3o DEL RIX. DELLE SCIEN. E LET. suoi tempi , e la dottrina Hi esso si trova sparsa nel suo poema. All'infelicità di quelli convieu perdonfire le sottigliezze scolastiche , o filosofiche, o teolo-^iche che ha tentato di vestire di poetici ab- bigliamenti ; ma in mezzo a quella te- nebrosa filosofia, brillano talora delie verità fisiche degne del nostro secolo. Riportiamone alcune.
La descrizione in una terzina della for- mazione della pioggia , oltre il merito poetico, par che esponga con tutta la precisione e chiarezza la teoria della so- luzione, e precipitazione dell'acqua pro- dotta nell'aria dal calore , e dal freddo , e che abbia indovinata la teoria di Le Roi abbracciata dai moderni:
Tu sai, come nelVaer sì raccoglie
Quell'umido vapor, che in acqua riede, Tosto che giunge dove freddo il coglie.
La teoria della formazione dell'Iride se- condaria è veramente falsa . ma è felice; e l'esser nota a Dante, mostra la sua applicazione ai filosofici studi.
Coìne sì volgon per tenera nube Due cerchi paralelli , e con colorì Quando Junone a sua ancella j'uhe^
SAGGIO SECONDO l^i
Nascendo da quel dentro quel di fuori , In guisa del parlar di quella vaga, Che Amor consunse. come il SoU>apori\
ove si può notare un difetto in verità , cioè ana similitudine creata per spie- garne un altra. l'Eco per spiegar l'Iride secondaria , già destinata a spiegare una altra idea; ma da questo stesso difetto si deduce la fertilità della fantasia a cui si affacciavano in folla le imagini. La tra- - sformazione dei vermi in farfalle, è una gemma delle più rare , fabbricata dal- l'ingegno, dalla fantasia, e dalla religio- ne, imaginandosi da lui che il corpo umano, il quale veste l'anima , altro non è clie una crisalide:
Non v'accorgete voi che noi slam vermi Nati a formar V angelica farfalla'^
Altre prove posson recarsi dei sublime ingegno di Dante nell' indovinare i mi- steri della natura, ove l'osservazione attenta lia supplito alla mancanza dei fatti intermedi. Solo dopo 1' ottiche esperienze di Newton , si è conosciuta la varia refrangihilità dei raggi di luce, e che fra loro il msso è il più tardo a refrangersi ed a riflettersi , perciò l' ul-
l3l DEL RIN. DELLE SCIEX. E LET. timo che si perda in an oggetto lami- noso , che a traverso un'aria carica di vapori comparisce rosso, perchè tutti gii altri generi di raggi, refratti, e rifles- si sono restati indietro, e il solo rosso giunge agli occhi. La causa dei grossi vapori per quest'effetto è appunto recata da Dante.
Ed ecco Cfual sul presso del mattino Per gli grossi vapor Marte rosseggia Già nel Ponente sovra il suol marino ce*
Egli è certo, che l'aria straordinaria- mente calda , deva eccitare un vento turbinoso correndo ruinosamente la fred- da aria in liio^^o della calda, come mo- stra il chiarissimo Francklin [Lettres ec.) Ed ecco come Dante si esprime :
E già venia su per le torbid' onde
Unfracasso d'un suon pien di spavento, Per cui tremavan ambedue le sponde j
Non altrimenti fatto, che d'un vento Impetuoso per gli avversi ardori, Che fìer la selva senz alcun r attento.
Gli rami schianta, abbatte f rondi e fioriy Dinanzi polveroso va superbo, E fa fuggir le fere ed i pastori.
Questo spirito di osservazione , come gli
SAGGIO SECONDO l33
ha fatto indovinare delle fisiche verità , così gli ha fatto dipingere delle leggia- dre novità , e delle piccole circostanze nei qaadri di natura , che i soli grandi poeti sanno conoscere e descrivere. Ec- cone alcuni esempi:
E come, dentro a loro schiera bruna S' ammusa Vuna coli' altra formica , Forse a spiar lor via e l or fortuna.
E altrove :
Come eli un stiz2.o verde , eh' arso sia Daliun de lati) che dall'altro geme, E cigola per vento che va via.
Tal dalla scorza rotta usciva insieme, Parole^e sangue, o/id' io lasciai la cima Cadere, e stetti, come V uoni che teme.
Qnesta similitudine è stata imitata dal- l'Ariosto; ma benché nelle poetiche si- militudini questo pneta sopra tutti gli altri possa competere con Dante , la co- pia è assai i,nferiore all'originale (4')" In questo genere Dante ha pochi pari fra i poeti di qualunque nazione o antica, o moderna: le più belle similitadini sono comunemente note. JNfoi non facciamo^
(4i) Canto 6.
l34 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET. che rarnmrntare la celebre delle peco- relle, o del montanaro, o del sartore ec, e solo diremo , che nel riferire quella meravigliosa del primo canto dell' In- ferno ,
E come quei , che con lena affannata Escitojuor citi pelago alla riva^ Si volile all'acqua /je/'z^/zW^, e guata,
non si è fatta sufficiente attenzione al verso , che segue , cioè
Così l'animo mio, che ancor fuggila ec. Verso sommamente espressivo della si- tuazione dello spirito di una persona, che scampata fuggendo da un pericolo , parla di fuggire ancora.
Il Galileo , lettore e ammiratore di Dante, poteva aver tratto da lui l'ipo- tesi, che la luce del sole, mista all'umor della vite , si trasforma in vino; questo pensiere , immagint-so però , convien più ad un poeta, che ad un filosofo:
E perchè meno ammiri la parola, Guarda il calar del Sol, che si fa vino, Giunto all'umor, che dalla vite col a{l^2.).
(42) Dante Purgatorio canto 2 5. V. Magalotti Ictt, sciei!. lett. 5. Redi tora. 5, pag. i35. ediz. di Nap. Note al ditirambo.
SAGGIO SECONDO l35
Questo è nn articolo , su cui più è dif- ficile il finire che il cominciare, ond' è tempo di far punto , avendo forse oltre- passati i limiti che ci convengono. Si può concludere, che questo lavoro poetico, a cui cinque secoli hanno posto il sigillo dell' immortalità, grande, e maraviglioso al nostri tempi , lo fu infinitafnente più per quelli, in cui nacque. L' applauso , con cui fu accolta la sua divina Comme- dia è attestato dalle varie città , nelle quali furono erette delle cattedre , per ispiegarla. Il Boccaccio fu a ciò stipen- diato dalla fiorentina Repubblica , indi Antonio Padovano, e Filippo Villani ec. In Bologna ne fu lettore pubblico Ben- venuto da Imola nel iSyj , a cui si deve perciò uno dei più interessanti cementi della divina Commedia, in Pisa France- sco di Bartolo da Buti nel i3B5 , autore anch'esso di un comento, e in molte altre città fuori di Toscana; dal che si deduce il pregio, in cui fu universalmente tenu- ta. Chi cederebbe, che ad onta di una successione continuata di storici , e di comentatori , il padre Arduino, quello che fece di alcuni latini classici, abbia osato far di Ddnie, negando, eh ei sia l'autore della divina Commedia^ ed at-
l36 DELRIN. DET.LE SCfEN. E LET. tribucndola ad un impostore? ÌNon con- viene dispaiar sul serio con un siffatto uomo, il quale, interrogato perchè pren- desse a sostenere tali stravaganze, rispo- se , C^est cfue i'ous croyez quc je me le^>e toiijours à trois heiires pour repcter les choses diies par les autres ? Con- viene però , che i giovani poeti, che stu- diano Dante per iorjnar io siile, si ricor- dino di due cose, che nel couipor la di- vina Gommedia formava la lingua poeti- ca, e che tentava varie maniere di dire, e che cinque secoli sono scorsi dopo quel la- voro: onde, quantunque la maggior parte delle frasi abhian ricevuta la sanzione dei posteri, molte ne sono state escluse dall' uso , padrone capriccioso talvolta , ma pur padrone delle lingue, e molte sono ])er dir così appassite dopo tanto tempo. Le altre opere di Dante, o in versi, o in prosa son lontane dal merito della divina Gommedia. Fra queste la Vita nuo^a è fatta per celebrare la bella Beatrice: ma il suo timido, delicato , e metalisico amore espresso in debole prosa frammischiata di mediocri versi, non può dilettar gran fatto i lettori. Il suo Convivio , così diUto quasi un pasto istruttivo ai lettori , è un couieato a tre
SAHCIO SECONDO 1 ^7
sae canzoni , in cui si scorgono V estese sue cognizioni dell' aristotelica , e pla- tonica filosofia , e di astronomia , cogni- zioni di molto conto a quei tempi, inutili ai nostri. Più piirticolare attenzione me- ritano gli altri due opuscoli luno Da Mo* narchia,\' altro de bulgari Eloquentia, iS'el primo si sostiene il primato dell'au- torità imperiale sopra la pontificia; opi- nione che pose in pericolo tutti 1 suoi scritti di subire le censure ecclesiastiche. Egli di partito Ghibellino , non dovea certamente esser favorevole al pontefice, ma prescindendo da ogni spirito di par- tito . se si considera il papa, come capo della chiesa, ninna potestà secolare può mescolarsi in ciò , che riguarda i dogmi delia religione, che a lui spetta a decide- re; se collie principe secolare, è nel rango degli altri sovrani , e soggetto agli stessi principi di pubblico diritto. Ma il con- fondere il primato spirituale col tempo- rale, ha originato innumerubili discordie, Dante, ha sparso anche nel suo poema più tratti contro quest' abuso. Isè s' in- t'^nde facilmente come le frequenti e ter- ribili invettive contro la corte di B-oma , e l'ecclesiastico senato , abbiano scam-
l38 DEL RIN. DELÌ.E SCIEN. E TET. pato la censura pontificia. Forse si son perdonate le ardite declamazioni alla poesia , perchè ha il credito di spacciare più la l'avola, che la verità : si son riguar- date quelle poetiche Filippiche , come satire, le qaali in ogni tempo hanno go- duto il privilegio di una libertà, o li- cenza di dire delle dare verità , alle quali i potenti, se non particolarmente nomi- nati, sogliono perdonare (perchè l'amor proprio fa un eccezione a ciascuno) , o ascoltano le ingiurie , rìdendo come gli antichi dei romani dei loro servi nelle feste Saturnali. Forse anche la venera- zione , che si eccitò sabito il divino poe- ma, in cui 1' autore, come abbiam. nota- to , comparisce più come un ministro della divina parola, che un poeta, lo fe- cero soffrire , come si soffrono dai grandi le verità anche dure dette dal pergamo. Il libro della monarchia però corse que- sto rischio per un momento , ma presto cadde nell'oblio. L^opra degna di più con- siderazione è quella della Volgare Elo^ quelita , giacché contiene il sentimento di Dante sopra la natura della lingua vol- gare, e quale sia quella più nobile in Ita- lia , che seguir si debba : egli non dà la privativa ad alcuna città , neppure a Fi-
SAGGIO SECONDO 189
renze, ma dice che questa è una lingua, spcondo le sue espressioni , illustre, car^ dinaie f aulica , cortigiana , che non è propria di alcuna città d* Italia (43) , ma può appartenere a tutte. Questa opi- nione di Dante forse fu giusta ai suoi tempi : la favella nobile italiana era flut- tuante , perchè non ancor ben formata ; ma dopo la di lui divina opera , dopo Pe- trarca, e Boccaccio, che sempre più sta- bilirono ciò che Dante aveva cominciato, la prerogativa di appartenere ad una na- zione fu decisa in favore della Toscana. Se si volesse dire , che Dante ha sentito diversamente, e che non ha inteso di scrivere nel toscano dialetto, si potrebbe rispondere, che forse pensò cosi teoiica-
(43) Questo opuscolo già nominato , come produzione di Dante dal Boccaccio , dal Villani , da Leonardo Aretino, dal Filelfo , essendo com- parso tradotto in italiano nel tempo in cui bol- livano le controversie anno (1629) sul nome, che si doveva alla nostra lingua, se d' italiana o toscana , fu creduto apocrifo dai Doni : ma dopu che Pietro del Bene fiorentino , ne trovò il testo latino a Padova , e che fu stampato a Parigi per mezzo del Corbinelli , nuu oì è più dubitato delU sua autentficità.
l4o DET, RIN. DELLE SCIEN. E LFT. mente, ma infatti scrisse con quello ; e che avendolo bevuto col latte , questo sempre lo accompagnò, e senza ch'ei se ne avvedesse gii fece una leggiadra frau- de , insinuandosi , tacitamente nei suoi scritti; e reggendogli per dir così la mano nello scrivere ■■, altrimenti come si spie- gherebbe, che il dialetto toscano è quel- lo , che preferibilmente si vede seguitato nella divina Commedia, e in tutte le altre sue opere con poche eccezioni ?
Dopo Dante , se si vuol cercare lo splendore, e la gloria dell'italiana poe- sia convien saltare al Petrarca. Vi sono altri toscani poeti coetanei di Dante, co- me Francesco da Barberino di Val d'Elsa della taniiglia , che avendo per stemma i tafani , gii convertì in api dorate quan- do fu ornata dei triregno pontificio (44)- Legista di professione , o giudice , o no-
(44) Sull antica casa Barberini in Bavbeiino di Val d'Elsa esiste una ruzza arrae di pietra roi tafani : vi è tradizione , che prima di stabilirsi in Barberino, abitasse questa faniiglia in Iuo;,'o poco discosto detto Tafania , ove sono delle terre ad essa appartenenti , fra le quali vi è il campo detto dei Tafani,
SAGGIO SECONDO i^r
taio (45)5 coltivò le Muse, e scrisse i Documenti d' Amore m vari metri. L'o- pera però j in vece dì parlar del prorant3 ariiore , cume dedur si potrebbe dal ti- tolo, non contiene, che dei precetti di inorale , e delle virtù, e i(ei premi di es- se. Lo stile è duro e roz^o, e sente ancor troppo il provenzale (4^;- Coetaneo al- rAliL;hieri fu un altro Dante, detto da IMaiiìMO. Gian disgrazia è per lui l'aver comune il nome con chi lo ha reso tanto illustre, e che perciò non può stargli ac- canto senza esserne oscurato. Fu però assai in pregio al suo tempo , e la leggia- dra poetessa siciliana, la IVina , a lui sen- za vederlo concesse il suo cuore, allettata dai versi inviatile. Posteriore a Dante e suo seguace, ma ad immensa distanza , è Fazio degli liberti, forse nipote del ma- gnanimo Farinata , a cui deve l'esistenza Firenze (47)' Fsule probabilmente per fazioni dalia patria , ridotto alla mise-
(45) Mehus. vit. Anib. Cara. toni. i. Lami Nov. Leu. Mazz.
(^G) E per altro uno dei testi di lingua. Si liouiiuaiio anche altre upere di lui,
(4;) V. libro 3, ca[>. ó.
i3*
ì4'2 B-ET, Rl^^ T)Ellt: scìev^ e lt:t.
ria, cantò spesso, come uno de' giullari, strambotti, e frottole alle corti del prin- cipi d'Italia (48). Ma l'opera di mag- gior conto è quella chiamata il Ditta- mondo y\n Q.\x\ ha voluto iinitir Dante, errando pel mondo in compagnia di So- lino, e facendone la descrizione, come Dante in compagnia di Virgilio e di Bea- trice avea percorso i tre regni. Vi si tro- vano le durezze di stile di Dante com- pensate da poche bellezze (49)-
Di Gino da Pistoia abbiamo parlato nella serie dei legisti , benché la sua ce- lebrità è restata di poeta elegante. La scarsità però delle sue poesie fa che non ci tratteniamo sopra lui lungamente . Giova rammentare in sua compagnia Sennuncio del Bene fiorentino, per l'ami- cizia ch'ebbero col Petrarca, noto an- che per qualche poesia, e involto ancor esso nella disgrazia di tanti valentuomini fiorentini alla rivoluzione del i3oi.
Lasciati tutti questi mediocri poe^i mezzo sommersi nell' oblio, e tenuti soIq
(48) Filip. Vili. Mazzuch. Quadrio ec.
(49) Qui non si fa l' istoria dei poeti , ma solo dei progressi dell'arte, onde non si mara- viglierà il lettore cKe tanti se ne lascino iadietro.
SAGGIO SECONDO 1 43
in vita dai curiosi eruditi , e molto più perchè ebbero la fortuna di scrivere in un tempo di cui la lingua è divenuta tanto autorevole ai posteri , il maggior poeta , che ci si offre dopo i tempi di Dante, è Francesco Petrarca. Suo padre Petracco notaio di Firenze fu involto nella stessa disgrazia , cbe Dante , e in- sieme con esso costretto, abbandonando la patria, a ricovrarsi in Arezzo nell'an- no i3o2 con Eletta Canigiani sua moglie, ove nel »3o4 nacque Francesco. Le di- sgraziate vicende di questa famiglia, co- muiìi, agli altri esnli, la fecero errare , e finalmente posarsi in Avignone. Il pa- dre avea destinato Francesco allo studio delle leggi , ma la natura , a cui niuno può contrastare, e cbe come innanzi in Ovidio, e in appresso in Ariosto, in Tas- so, e in tanti altri, a traverso a mille o- stacoli si è aperta la strada al suo fine , portò Francesco irresistibilmente agli ameni studi a segno, cbe il padre un gior- no sdegnoso gittò tutti i belli autori del figlio nel fuoco, salvando poi da que- sta condanna Virgilio, e la rettorica di Cicerone, intenerito dalle di lui lacrime. Morto il padre ; si diede intieramente ai bei studi. Tutto ciò , cbe può allettare
l44 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET. un ingegno fatto dalla natura per quelli, fu suo oggetto; erudizione , eloquenza , (ìlosofia, morale, e tridle spine, ond' erano ricoperte idlora siffutle cognizioni, seppe cogliere delle rose, e trar delle gemme dallo squallore di un sordido ammasso di confusi ruderi. INia cioccliè diluì più ades- so c'mteressa è il poeta. Bencijè la lin- gua volgare avesse cominciato ad esserne in pregio, specialmente dopo Donte, tut- tavia la latina sfortunatamente conserva- ya ancora la sua dignità e il Petrarca ri- cercator diligente degli antichi latini classici , e giusto ammiiatore di essi, Te- nero tro])po quella lingua, e cercò di foi- inar su di essa il suo stile in versi e in prosa. Concepitoli pensiero di un poema epico, volle scriverlo in latino . L' idee , che gli si ravvolgevano in mente delle grandi imprese dei romani eroi, gli fece- ro rivolgere l'imaginazione ad una delle epoche più gloriose della romana repub- Llica, cioè alla seconda guerra cartagi- nese , e scrisse il suo poema 1' Ajjrica . lira ignoto in quei tempi il [)oema sullo stesso soggetto di Silloltalico forse il più debole degli epici antichi (5o) . 11 Pe- ►'(.5oJ Di lui ha dette Plinio: icvibebat canni- na lìKiJQre cura , quani mgenio , 11 Sig. Tjia-
SAGGIO SECONDO ^4^
trarca impiegò molto tempo e cura a scrivere nii poema , che veramente gli procurò la corona in Campidoglio , ma che era destinato a cadere ueir oblio . Facciamo una riflessione opportuna . Consideriamo le pene . eh' ei si è dato ii» queir opera; veggiamole in tempo, in cui non esistevano tanti aiuti per scrivere in quella lingua , d-.r la tortura allo spirito per trovar delF espressioni , che non avea ancora incontrate nei classici; li- sciare , e riprendere il lavoro più volte per questo motivo , abbandonare delle belle imagini , non trovando i colori, on-
boschi, uomo dottissimo, ma dotato più di eru- diaione che di 6no gusto, crede die si faccia torto a Silio apprezzandolo meno di Lucano e di Sta- zio, dandone per ragione, che i difetti di questi ultimi son coperti di un'ingannevolp appareiua di maestà , di grandezza , di entusiasmo. Esl» s' inganna. Lucano , per esempio , ha certameoLe grandi difetti, ma anche grandi e vere bellezze; ed ha fatto parlar degnamente gli eroi. E 'vero, che il suo stile ha una tinta , che spesso offeD«-le: gli occhi , ma i pensieri son grandi, e Cesare, Pompeo, Catone parlano il linguaggio vero degli eroi romani: ecco le ragioni, che lo fanno prete- rire a Silio, e per «ui fu tanto slimalo dal graa Pietro Gorueiio, ottimo giudice.
ì/{6 DEI. PIN. DELLE SCIEN, E LET. de dei^namente dipingerle ; ed esaminia- mo finalmente il suo poema , lo stile del quale è ben lontano da quello dell'aurea età . Noi lo ammireremo per quel che ha p!>tuto lare , e ci parrà un robusto corri- dore, che colle pastoie ai piedi abbia fat- to un lungo cammino . Non possiamo a meno però di non pianger quel tempo perduto , e di dolerci che non lo abbia dato air italiana poesia , cercando di perfezionarla , ed invece di adornar di rezzi una morta , e di volerla far muo- vere ed atteggiar come viva , non si sia d.ìta ogni cara di ornar la 6glia viven- te , e crescerle nuove grazie. Egli è certo, elle le cure inutili impiegate nel latino verso eroico , rivolte da uomo di sì bella ìmaginnzione e di sì sublimi idee all' ita- liana poesia , r avrebbero sommamente arricchita. La fantasia di Dante avea pre- so di mira oggetti .che escono dall'uma- na sfera. Le pitture di Scipione, di Anni- bale , di Amilcare, le battaglie di Zama, le sventurate vicende di Sofonisba in ver- si italiiini esciti dalla imaginazione del Petrarca, potevano fin da quei tempi for- mare un modello italiano di eroico stile. Egli perciò si lasciò trasportare dalla venerazione che aveva ancora il suo seco-
SAGGIO SECONDO i47
lo per la lingua degli Scipioni, e credetta che le loro gesta dovessero in quella caH- tarsi. Il caso, che diriije sovente le azioni degli aoniini più grandine Amore che avea fatto poetar Dante in volgar lingua , ri- svegliò ancor la musa italiana del Petrar- ca . E' troppo nota Mei donna Laura per doversi trattenere molto sopra di lei . JN'ata in un sobborgo di Avignone (Sì) da Odiberto di Noves nell' anno i 3o8 , ma- ritata ad Ugo de Sades nel i325, risve- gliò nel sensibile cuore del nostro poeta una forte e stabile passione amorosa in- contrandosi in lui nell'anno 1327 nella chiesa di S. Chiara in Avignone nel ki- iiedi santo; minute e piccole circostanze, ma che diventano importanti , giacche questa passione ha dato origine alle più tenere poesie della nostra lingua . Vana è stata r opinione sulle bellezze di Laura, altri vantandola come una Venere, altri sostenendo che ella era abbellita sover- chiamente dalla fantasia del poeta . Co- munque sia , il suo nome è andato coi "versi del Petrarca all' iminortaiifà. L' a- more profano in queste rime é divmiz-
(^^ \)Ed or d'un pìcciol borgo imSot nhaduLc. Part. i . »oii. .1 .
yffi DT.L PIN. DFT.LE SCIE^T. E LET. Zito , perchè rivestito delle decenti gra- zie di Platone. Questo illastre greci», in cui la vivace fantasia dominava sulla ra- gione , ha tonnato un sistema attissimo ad essere espresso dai colori poetici . Le anime figlie del cielo , abitatrici degli astri, veng<mo da essi ad informare i cor- pi , e terminato il tempo prefisso della mortili vita , ritornano alla loro sfera . Rimirando i pregi di una beli' anima , e anche di quella leggiadra spoglia in cui si cela , si ammirano le opre grandi del Creatore, a lui ci solleviamo da quelle,
f^he son scale al f attor chi ben le mira.
Jl volto e gli occhi di una bella donna , mostrano la via del cielo , e ci fanno prendere un' idea dei piaceri celesti (Sj), JNulla esser vi può di più decente dell' a-
(ò-s) Gentil mia Donna, io l'eggìo
TCel muover dei vo su'' occhi un dolce lume. Che mi mostra la vin, che al Ciel conduce .
Part. ( . canz. i 9. E ib. raiiz. 1 1 . Rimirn il ciel, che ti si vohe intorno
immortale ed adorno ;
Che do'^e del mal suo quaggiù sì lieta
Mostra vaghezza acqueta
Un muover d'occhio, unragionar, un canto:
Quuuivfui (juelj-iacer, se questo t tanto?
SAGGIO SECONDO ìqg
morosa passione vestita di queste imagi- nose spoglie,- ma il sistema è più bello che vero, più atto a cantarsi, che a porsi io pratica : può anche fare una dolce il- lusione a due semplici amanti , allettan- doli con amabili visioni di piaceri inno- centi, e terminando per deludergli, tra- sportandogli quasi violentemente ad ob- bcvlire alia legge imperiosa della natura. INon mancano esempj di sistemi fallaci , e di sottigliezze teologiche, che tra l' o - scurità dei concetti spirando una spiri- tual dolcezza ai due sessi, hanno termi- nato nella stessa guisa (63) . Dai versi
(5.V Molti esempi si potrebber citare, che per decenza si lasciatjo. Solo noteremo, che nella ce- lebre disputa del quietismo , eccitata in Francia fra Bossuet, e Fenelon,chi si trasse die- tro tanti partitanti da ambi i lati, fu la famojia anietista Madama de Guion, che avea fatta qual- che impressione in Fenelon, e trasportate nel suo sentimento tante persone della corte, avea sedotto il pio e austero Duca de Chevreuse. Egli confessò un £;iorno a Bossuetche quando era pres- so a quella donna f la quale era assai bella ) , si sentis'a soffocare dai movimenti interni della grazia, ed osò dimandare al Vescovo di Meafux
t5o DET- RIN. DELLE SCIEN. E LET. stessi del Petrarca trypela più di una vol- ta questa fallacia , la quale poi senza al- cun velo si sco})re nei suoi colloqui con S. Agostino . J\la o ei>li consideri Laura con le metafisiche idee di Platone, o più material mente , le imagini sono il più delle volte giuste e tocciniti , e 1' espres- sioni tenere e soavi. Le tre sue canzoni chiamate sorelle, su gli occhi di Laura, sono forse un po' impa.^tate della plato- nica metafisica , e ci tocca davvantaggio quando ahbandon;ìndo le stelle, ricade sul suolo , ma qual getiiiiia così bella può vantare la lirica italiana, che paragonar si possa con quella (54), in cui lasciato da parte il platonismo , descrivendo il fonte in cui hagnossi Laura, imagina, che tutti gii oggetti si rivestono di gioia a lei davante,e produce tenere, e delicate idee, espresse col più armonico ed elegante stile? Il sonefto è stato da lui perfezio- nato : pochi se ne leggevano innanzi dei
se non sentiva io stesso. D'Alemb . Elog. de 1' Acad. frane, t. •>. Notr-s sur l'eloge de Bo&suet (04) Chiare ^fresche, e do!ci acque ec. p. «. canz. 14. fu questa posta in eleganti versi latini da Marcantonio Flamminio: O fons Melioli sacer ec.
S VGGIO SECONDO '5l
soffi Ibili (55). Le canzoni eroiche sempre |)iù ci fanno dolere, che non abbia scelta ja nostra lingua pel suo poema dell Af- frica : sono piene d'idee grandi espresse con magnificenza di stile sublime , non mai ampolloso. Da un poeta come lui nutrito dei romani classici, e pieno delle gfiindiose idee degli eroi del Lazio che resero tanto venerabili
Le antiche mura^che ancor tenieed ama, E trema il mondo, quando si rimembra Del tempo andato, e indietro si risolve j (^j)
che cosa non si poteva attendere? Il sog- getto suol sublimar Io spirito , e riscal- dar la fantasia , come avviene in quelle canzoni ; e realmente qual diversità da queste , ed altre deboli , e stentate, e ad una folla di mediocri ed oscuri sonetti amorosi ? Molti di questi sono non solo mediocri , ma anche sotto la mediocrità;
(ò5) Se quello che si riferisce nel primo tomo della raccolta di Agostino Gobbi sui salutar del- la sua donna appartiene a Dante , a cui è attri- buito, è il solo che possa garreggiar con qualun- que sonetto del Pef,-ài.-a in tenerezza : comincia Tanto gentile, e taìito onesta appare, ec
(56j Far. prima: canz. 6,
ì52 DEL R!N. DELLE SCIEN. E LET. tessuti d' idee troppo comuni, e talora troppo ricercate. La melodia della sua cetra è tenera e soave, ma il tuono è di rado variato, e le corde di questa cetra non sono molte. INon si può far paragone fra Ile produzioni poetiche di Dante , e quelle del Petrarca , giaccliè differisco- no tro]>po. Sarebbe indiscretezza parago- nare il puerile canzoniere di Dante con quello maturo delPetrarca, come ii met- tere a prova di forze un fanciullo con un uomo adulto ; pure abbiam visto che questo non sdegnò di imitar talora il pri- mo. Si può piuttosto paragonare il ta- lento poetico di ambedue . In questo pa- ragone ninno probabilmente negherà che Dante non superasse Petrarca nella gran- dezza dell' imaginazione, nella robustez-» za dei pensieri , e delle espressioni ; ma cede a Petrarca nella gentil morbidezza del colorito poetico, e nell' armonica dol- cezza del verso. Alletterà perciò maggior quantità di lettori il Petrarca, come av- venir suole nella pittura , ove dieci sono presi dalla bellezza del colorito, per uno che gli antepone la grandezza della com- posizionce del disegno. Così la dolcezza delle parole, r armonia del verso, che lu- singa l' orecchio , attrae la più gran par-
SAGGIO SErONDO l53
te j cne concedono più ai sensi ; che alla mente. Si trova in Dante più varietà, più novità e grandezza di pensieri, ma talora affogati in durezza, e oscurità di espres- sioni , e il lettore spesso annoiato di seguitare un aspro sentiero, per giunge- re ai r)czz\ di suolo delizioso , stanco ab- bandona il cammino (57) ^ Più di rado sente quest' incomodo nel Canzoniere ,, e nei Trionfi del Petrarca, lusingato aìme-' pò dalla soavità dello stile; màfafFuo- po confessare , che in questo talora la dolcezza supplisce alle idee, in quello Itì idee spn talora troppo affollate , e sì ur- tano per dir così duramente fra lóro , 6 pajr clie manchino le corrispondenti es- pressioni. ^Vmbedue questi gl'aneli uomi- ni sono i padri dell' italiana poesia . Era necessario che uno succedesse all' altro pe*!' creai* le grazie, la tenerezza, l' armo-
^.,(5.5^ Q'janta possa ia dolcezza del verso-, sì Scorge nelle persone volgari , che imparano a memoria, e cantano le ottave del Tasso senza in- tenderle; giacché. -n^ sfigurano in mo4p,i, versi ^ che no», vi si Ij'ova più senso: tuttavia son lusin- gate le' loro orecchie da quell'armoaia aeniA senso « , '
ì54 D^T. HIN .DTM.E Sf.IF.N. T LET, nia , dopo la grandezza e la forza. Ama- no gli uomini paragonar gli antichi ai moderni : i paragoni sono però sempre imperfetti: tutte le lingue hanno dei pre- gi particolari , e scrittori che differisco- no^quanto le fìs-momie , lo che mostra la ricca varietà della natura. Non ebbero i latini un poeta della fantasia di Dante; io ebbero i greci in Omero: ma chi saprebbe additare un poeta , che abbia unito te- nerezza di affetto, soavità di stile, imma- ginazione, e decenza al par del Petrarca? Troverete qualche somiglianza di teneri sentimenti in Tibullo ; ma se la preven- zione non vi accieca , vedrete quanto il Petrarca gli sovrasti . Questa soavità e tenerezza di pensieri , e di stile è anche maggiore nella seconda parte , allorché piange la morte della sua donna. Dopo ventun' anni di amore fervente , e quan- do , per usar le sue parole,
Giunto era il tempo , dove Amor si scontra Con Castitade y
nella micidial pestilenza del 1 348 la bella Laura morì nello stesso giorno 6 di apri- le, nella stessa ora , in cui avea già 21 anni innanzi piagato di amore così viva-
SAGGIO SECONDO i55'
Yoenie. il Petrarca (58). 1 teneri versi del- h seconda partale in specie i sonetti, fanno testimonianza delia sensibilità del suo cuore , della perseveranza della sua passione , e che
Piaga per allentar d'arco non sana.
Cominciò ad accorgersi egli stesso , c"be la celebrità del suo nome si dovrebbe pila che alle altre tante sue opere , e con tanto studio lavorate alle amorose Rime, di cui la fama ognor crescente gli giun- geva alle orecchie, e si pentì di non aver- vi data più cura {5g).
La viva fantasia, e la dottrina classica di Dante, e Petrarca avea perfezionato la lingua poetica italiana. La prosa era più incolta , ma ancor essa dovè il suo migliore stabilimento ai fiorentini^scrit-
(58) Si consulti il Documento posto in fronte del Virgili». dell'Ambrosiana da questo poeta, che comincia: Laura prcpriis virtutibus illustris, et mais longum celebrata carminibus ec. Hist. ti- pogr. Mediol. e altrove.
(69) S'io avessi pensato, che sì care Fosser le i^oci de'sospir mie' in rima', Fatte l'avrei dal sospirar mio prima Ih numero più. tpesse, in stil più. rare. Part. 2. son. 2 5,
ì56 DEL RIN. DELLE SClE?f. t. LET. tori. L" istorìca prosa cominciò da essi.: Lasciandoida parte alcune rozze cronache; e fra queste qiielle di Pisa, e di altre città, (60) il più antico stori<:o italiano è Piicordano o Rìcc<<rdaccio(6i)Malnspina.' IXon sono bene stabilite l'epoche della sua vita, o seguitando la comune opinio- ne, converrebbe diri;li'ela troppo lunga. Egli scrisse 1' istoria antica , involta in mille fevòle puerili, e quella del suo tempo candidamente fino all' anno 1281. Ma di questa non si sa con precisione ove" fissarne 1' autèntico principio , il quale però, per la supposta sua lunga vita ^ deve stabilirsi almeno 4o ovvero 5o anni anterióre alla sua morte. Quantunque? rozza di stile , supera in eleganza tutta' ciò che nello stesso secolo è stato scrittd i&toricamente in Italia^ (62) Fu continua-^
(60) Mur. Rer. It. Scrip; '■
(61) Manni (del metodo di studiar Ta storiaf fiorentina } dice aver trovato in un MS, che it suo vero nome é Riccardaccio corrotto poi irl Ricordano.
(62) 11 Sig. Ti rabcJschi contrasta l'anteriorità di tempo al Malespina, e la dà a Spinello, con- cedendo però l'elegauì:a "nìacgìóre di etile 'al pri- njo , e che yisseio nella stessa età j ma sostiene,
SAGGIO SECONDO l57
ta dopo r anno 12S1 da Giachetto o Gla- cotto suo nipote per altri cinque anni. Appena deve rammentarsi la cronichetta di INeri Strinati AlGeri scritta in Padova, ove , cacciato dalla patria , si era riparato 1 autore.Lo'stile di Dino Compagni.rnosl ra un leggiero avanzamento nella lingua nei poclianni scorsi daU'unoairaltroistorico. \i si trova meno rozzezza, ed una certa semplicità, clie acquista fede a ciò di cui era spettatore. Viene accusato di partito ghibellino, ed era in verità difficile tenersi imparziale in mezzo alla furiosa persecu- zione, che si facevano le due sette. Le declamazioni però, eh' ei fa al principio di qualche libro, e nel corpo dell'istoria piùsuUostile dimissionario, che di storico, son dirette contro la generale perversità dei cittadini , e non siamo pel resto gran fatto in stato di giudicarlo. Maggiore ele- ganza die allo stile isterico Gio. Villani. È^'li è vero, che fino ai suoi tempi ha co- piato, e quasi colle stesse parole , le cro- niche dei Malaspini. JNello stile di Gio-
che l'istorie di Spinello furon pubblicate prima È assai difficile il fissare c^n qualche precisione ciò che può chiamarsi pubblicazioiie avanti al- l' invenzione della stampa.
l58 DEL. RIN- DELLE SCIEN.E LET. Tanni spesso trovasi precisione; chiarezza e talora un'aurea semplicità: non gli manca neppur la forza. Non è la Cronica scevra della rozzezza dei tempi,- spira però in- genuità per ogni lato^ non par 1 autore addetto ad alcuna fazione, e la sua opera forma uno dei più autorevoli corpi di storia per quasi la metà del secolo xiv (63). Ebbero queste Croniche un singolare ono- re di esser compendiate in rima da An- tonio Pucci , ciò che ci rammenta il co- mico tratto di M<liere,che immagina, clic un letterato si occupasse a porre in epigrammi le decadi di Livio. Dorme quest'opera manoscritta nelle biblioteche, e vi dormirà finche, non sia distrutta dal tempo o dai venni. (04) H Villani cornin-
(63) Si dice eia tutti , clie restarono queste Croniche occulte per qiiasi due secoli. Furono stampate la prima volta in Venezia nel l'IS^. Il ]\Iachiavello però cita una volta il V^illani nel principio del sue istorie: è vero che non lo cita che questa sola volta, e nel racconto dei fatti importanti , mostra non averlo consultato: gli altri scrittori anteriori a ì\Iachiavcllo non ne fanno parola.
(64) Serie di Ritratti ec. Elogio di Gio. Vil- lani.
SAGGIO SECONDO l5cf
ciò il SUO lavoro dopo aver visitato Pioma nel I 3oo , all'istituzione del giubbileo fati i da Bonifazio Vili. Confessa egli stesso che la vista dei maestosi avanzi di Roma, monumenti della sua grandezza, e testi- moni delle illustri imprese ete) nate dagli scritti di vSallustio, Livio, Valerio ec. gli risvegliarono l' idea di celebrare nella stessa guisa la sua- patria. [65) Fu mer- cante;, ebbe i primi onori della città, ed essendo uno degli ufizinli dt Ila zecca, or- dinò che si compibisse un libro, ove fos- sero rciristrate tulto le antiche monete fiorentine (iiio al suo tempo, coi nomi e i segni dei fiorentini utìziali, codice pre- zioso, che esiste in carta pecora , e che si deve all'elezione di unufiziale istorico.(b6j Viaggiò per varie parli di Europa , se- condo l'uso dei fiorentini mercanti: restò involto nel fallimento delli compagnia Bardi, per cui soiirì molte angustie, e U-
(6.5) \ un grande scrittore morlerno, al chia- rissimi; Gibboa, venne il pensiero di scriver la sua celebre Istoria della decaclciizi e ruina del- rimi^iero romano, fra le ruiiie ael Campidoglio.
(66) iMauni, ^Jletudo di studiare la stona tìo- rentiua. Orsini , stuiia delle monete della Ke- pubb. fior.
ì6'> DEL TwN. DELLE SCfEN. E LET. no la carcere. Un celebre letterato italiano, il Muratori, crede io stile di Dino Com- pagni preferibile a quello di Giovanni Vilbini. E' vero die molte ddle parole e frasi del Villani sono invecchiate e uscite di moda più presto di quelle del Compa- gni; ma il Vilbaii gli è assai superiore nel- r ordine e specialmente nella chiarezza , con cui son raccontati gli avvenimenti , attaccandosi ai più importanti ; è un isto- rico freddo, mentre l'altro riscaldandosi prende più volte il tuono di predicatore, e si trattiene nelle minuzie. Essendo il Vil- lani restato vittima della fatai pestilenza dell 34H,corsero lostessoarringoconminor celebrità ma non minor diligenza Matteo suo fratello, e Filippo suo nipote, e figlio di Matteo, continuatori della cronica. Filippo ha scritto anche le vite dei famosi fiorentini, e la modestia, con cui parla del padre e del zio gli concilia maggior rispetto, benché il pregiudizio dei tempi, che gli eleganti scrittori dovessero scri- vere in latino, non glie li faccia apprezza- re abbastanza. (67) Vari altri Cronisti to- scani abbiamo in quest'epoca, come il
(67) Serie di Ritratti , elogio di Gio. Villa^ r.i. Il conte Mazzucchelli ha tradotto in parte, ed ha arricchito di note quest' opera.
SAGGIO SECONDO l6f
Velluti, il Buoninsegni , il Capponi , ma •volgari e plebei, non hanno dato coU'ima- ginazione il più lieve fiato di vita ai loro scritti. Fra i padri del ben dire, si trova in questo tempo un gruppo d' illustri teologi toscani dell'ordine domenicano nell'opere dei quali anche adesso gli stu- diosi della lingua vanno a bere il latte il più puro, Bartolommeo da s. Concordio, il beato Giordano, Domenico Cavalca, e Jacopo Passavanti . Bartolommeo da s. Concordio, borgo poco distante da Pisa , fu nno dei più dotti uomini del suo tempo nella teologia, e nelle altre discipline; ma la sua traduzione di Sallustio, e quella del libro dei documenti degli antichi , sono quegli che ornarono la nostra favella. Egli morì nel i347 di anni 85.
11 B. Giordano da Ri va Ito , castello del territorio pisano, fu un insigne predica- tore, che con sommo giudizio, invece del barbaro metodo di predicare in latino , usò la nativa favella, e perciò fu seguitato colla maggior frequenza, ove s'intese la sua voce. Lo stile delle prediche è riguar- dato come classico.
Domenico Cavalca , nato in Pisa , o in Vicopisano, dello stes^so ordine, vestì Pi^n. T. V, i5
l62 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET.
ancor esso dell' eleiianza dello siile le ve- riti evangeliche nitidamente esposte nel- lo Specchio di Croce, nel Pungilingua, e in varie altre opere , delle quali si può vedere la serie nello scrittore del suo elogio. {6H)
A questi tre illustri domenicani deve aggiungersi fra Jacopo Passavanti , che nato in Firenze alla line del XIII secolo, vesti r abito in s. ?rlaria J>fovella , fu let- tore di teologia, e filosofia in varie città, predicatore insigne, e direttore della fab- brica della chiesa di S. M. Novella. Ma prediche, teologia, e filosofia, tutto si è dileguato, e solo resta per ornamento della lingua il suo Specchio di vera Pe- nitenza , scritto prima in latino , e poi da lui stesso tradotto in volgare. Le opere di questi teologi godono del doppio vantag- gio d' insegnare a un tempo la cristiana morale, e l'eleganza del dire^ Le verità religiose sono vestite di panni semplici e puri , i quali benché privi di ogni orna- mento , piacciono forse di più , perchè più adattati al soggetto. L'' elegante pu- rità di stile, con cui s'insegnano i precet- ti del vangelo, penetra soavemente il cuore
(G8) Vedi Memorie dei pisani illustri.
SAGGIO SECONDO t63
con una dolce unzione, e ci par di sentir parlare i primi padri della chiesa. Questi religiosi vissero nel tempo felice, in cui la lingua, che in Toscana si parlava, era tutta pura, tutta elegiinte, gìncchè di es- sa si è t'ormata la prima base su cui il grand' edìfizio di quella si appoggia ; onde quel dotto stuolo, che il più beA fior ne colse y a questa età specialmente rivolse le sue diligenti ricerche. Fa di mestiere però pesar tutto con scrupolosa bilancia. La lingua di questa età è pura e semplice, ma la sua purezza e semplicità è quella di una fanciulletta innocente, che non ba ancora ben formato il carattere, po- vera di spirito, d' idee , e che non è ca- pace di dilettare colla sua conversa- zione : tutto in lei è buono, ma questo tutto è poco. Perchè la lingua si perfezio- ni fa d'uopo che acquisti di che sommi- nistrare all'oratore, al poeta i colori, onde vivamente pinger le sue idee. Quei colori per la poesia furon creati da Dante, e Petrarca ; la prosa era restata indietro. Di quei due gran Fiorentini atti all' im- presa, Dante non ha scritto, che una languida e licercata prosa; Petrarca ha più amato per quella la lingua latina.
l64 DEL RIN. DELLE SCjEN. E LET.
Il padre per tanto del bel dire italiano è Giovanni Boccaccio. La sna famìglia originaria di Certaldo , probabilmente stabilita in Firenze per motivo di mer- catura , ha dato a qoplla città 1' onore di aver per cittadino Giovanni . Se egli poi nascesse di legittimo matrimonio, o fosse figlio dell'amore; se sno padre, dimoran- te per commercio in Parigi , innamorato di una donzella francese , ne avesse ivi questo figlio , o se nascesse in Firenze; se il consecutivo matrimonio lo legittimas- se , o no, son questioni non facili a deci- dersi , che poco montano al merito ed alle opere di Giovanni, che più e' inte- ressano (ho). Destinato dal padre prima alla mercatura, poi allo studio delle leg- gi,fu tratto dal naturai pendìo alT amena letteratura, e allor quando mercante an- cora si trovava in Napoli, visitando il se- polcro del cantor d'Enea , si sentì accen- dere in seno una scintilla di quel sacro fuoco; e dopo molti ostacoli le Muse, e la
(69) Era di 9 anni minore del Petrarca per testimonianza di questo ( Scnil. lib. 8. ep. 1.) nato dunque nel «3i 3. Per i punti in questione possono consultarsi da chi ama queste piccole circostanze , Fil. Vili, de fam. fior. Domeuico Aret. Mauni , ist. del Dee. ec.
SAGGIO SECONDO i65
hella K'tteratura furono il suo oggetto principale. Non sono ben noti i suoi mae- stri delle belle lettere, e per altra parte è inutile ii cercargli da un uomo, che, eccet- to nella greca lingua , fu maestro di se stesso. L'amicizia del Petrarca , di cui godette per tutta la vita , lo incoraggi sempre più ai bei studi. Non ci appartie- ne lo scorrer tutte l'epoche della sua vi- ta : egli è certo che fu assai onorato nella sua patria , e spedito da essa in varie onorevoii ambasciate , e in specie alla corte di Avignone ^70) . Gì' istorici di quest'uomo ce lo dipingono assai sensi- bile all'amorosa passione, e le sue opere ce lo confermano, giacché tutte spirano amore . La fama lo volle amante corri- sposto da una donna di alto affare in Na- poli, figlia naturale del re Pioberto, det- ta Maria , e da lui chiamata Fiammetta; e quantunque sieno stati mossi dei dubbi, vi è luogo a credere, che in siffatto rac- conto vi sia un fondamento di verità''j i).
(70) Mehus, Vit. Arab. Cam.
(7») Il Sig. Tirabuschi esaminando le varie o- pere del Filocolo, del Ninfale tiesoìano, della Fi- ammetta, trova delle coatradizioni. Quelle opere
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lC6 DLL RIX. DELLE SCÌEN. E LET. II SUO merito , come ittiliano poeta , non è di on gran rilievo Egli è il fondatore del bello stile della prosa italiana, la quale ricevette dalla sua penna un colorito fin allora ignoto . Fra tutte le sue opere il Decamerone è quella, che ha acquistato una perenne ed estesissima celebrità . A. questa si devono tutte le fatiche, chetan- ti commentatori vi hanno spese. Non solo si è tentato , e probabilmente invano, di fissare quali furc no le ville, nelle quali si adunò la bella compagnia navellatri- ce, e chi ella fosse (72); ma on diligente fiorentino scrittore , il Manni, con pa-
sono scritte sullo stile di un romanzo, onde non si devono pesare tutte le circostanze colla bilancia delPore6ce, ma piuttosto colla stadera del mugna- io. E se vi fosse il prezzo dell'opera, non sareb- be difficile il mostrare la somma probabilità del fatto da una concorrenza di circostanze più volte ripetute nei suoi scritti, e dalla concorde opinio- ne dei suoi storici. Ma per quello riguarda questa donna, convien considerargli sempre come tinti di stile romanzesco .
(72) Vedi Bandini , lettere fiesolane. Chi ha creduto la villa dei Trevisi, chi Poggio Gherar- do ec. , ma le indicazioni del Boccaccio son trop- po generali , e possono conveuire a troppe si- tuazioai .
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zienza straordinaria , ricercando vecclii archivi, e libri mal noti, ha creduto po- tere asserire , cV>e le novelle del Decame- rone sono quasi tutte reali istorie avvenu- te in quel tempo (7 3; , e ci La dati i veri
(73) I diligenti fiorentini , per un libro che tanto interessa la loro lingua, qual è il Decamero- ne,non hanno tralasciate le piìi esatte i icerche per porre in chiaro tutte le circostanze , e spe- cialmente le ville , ove si adunò la bella com- pagnia ; ma pare possa dimostrarsi che fu tntt* una invenzione , e un' occasione presa dalle cir- costanze per contar delle novelle . Per tagliar subito il nodo coli' argomento il più forte, os- serveremo che il Boccaccio non era in quel tempo in Firenze, come confessa egli stesso non novellando , ma dove parla da storico nel co- niente al poema di Dante al cap. 6 , ovvero nel comentario sul canto 6 dell' Inferno . Se io ho il vero inteso , perciocché in quei tem- pi io non ci era , io odo che in questa cit- tà au^enne a molti nell'anno pestifero l ^ ^S , che essendo soprapresi gli uomini dalla pe- stilenza . ec.
E se in qualche altra parte, come nella de- scrizione della peste , pare eh' ei vi fosse, con- vien dire che parli come novellatore : onde e la villa di Schifanoia e di Poggio Gherardo, e la valle delle donne , e tutto ciò specialmente
l68 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET. nomi, che il discreto Boccaccio aveva oc- cultati , Questa celebrità indusse molti uomini a farne delle versioni . Il gentile Petrarca non sdegnò di onorarne ana di latina traduzione, e indirizzoUa all' ami- co autore , La sua modestia gli fece sce- gliere quella di Gualtieri e Griselda, co- me esempio di conjugale obbedienza. La tragica novella di Tancredi , principe di Salerno, è stata più volte posta sulla sce- na, e da molti trudotta: due aretini vi si sono occupati; Leonardo Bruni la tradusse inelegante latina prosagli celebre legista Francesco Accolti messe in terzine italia- ne r ultima parte , cioè quando è pre- di' è detto nelle lettere 6es(lane è probabil- n".ente un sogno . E veramente la seconda vil- la in specie è troppo magnifica per appartene- re ai mercanti che amavano T coni' è stato det- to da alcuno ) aver le casse piene di fiorini d' oro , ma non amavano gran fatto a spender- gli in lusso pomposo, onde le ville sono ima- ginarie, come i daini e i caprioli del giardino . Forse alcuno potrebbe dire che ancor lontano Boccaccio ne seppe l'istoria, eia scrisse ; vi vor- rebbe qualche documento di quel tempo , e allo- ra in qualunque maniera non saria miglior parti- to rimettersi alla fantasia dello scrittore, e tutto concedere a quella ?
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seiìtato a Gismonda il core dell' amante . FilippoBeroaldol'ha scritta in latini versi elegiaci, e qualche altra ne lia tradotta in Fatina prosa , per non parlar di tai?- t' altre traduzioni fatte deli' intiero De- cameroDe in tedesca , in spagnola , in francese lingua , e delle leggiadre imi- tazioni del gran favoii-^ta la Fontaine. Lo Stile dignitoso a un tempo, e brillan- te , di cui è ornata la descrizione della fatai pestilenza, da cui comincia il libro, era atto a sorprendere la sua età, che non conosceva niente , che gli si avvicinas- se : nelle novelle lo stile è variato giu- diziosamente , e si solleva , o si abbassa secondo che la materia lo domanda; ed è più elevato nella giornata , in cui il tristo Filostrato ha proposto il tragico tema , che in quella dello scherzevole Dioneo . Il libro è lavorato con molto ingegno, e le avventure , che si raccon- tano son tanto variate da recare non or- dinario sollazzo. Ci diletta ancora in quel libro una certa pittura dei costumi , e della maniera di vivere dei nostri ante- nati , la di cui semplicità anche nei^vizj fa un contrasto piccante colla rafunii- tezza dei nostri. Si paragonino le novel- le del Boccaccio coi racconti morali di
170 DEL RIN. DELLE SCIEN. E LET. Marniontrl , si avrà Ih pittura dei costa- mi dell' antica Firenze e del moderno Parigi. Ciò, che Dante e Petrarca avean fatto nella poesia , fece Boccaccio nella prosa: dalle varie lingue a lui note e spe- cialmente dalla latina trasse nuove paro- le . nuove frasi , nuovi colori per arric- cliirla , ìVon si vogliono dissimulare al- cuni difetti di stile : qualche volta è pro- lisso , e verboso ; difetto che facilmente si perdona in un soggetto, in cui la pre- cisione;,e brevità non si richieggono tan- to; l'altro difetto è la ricercatezza , la qua- le ci si presenta nello stile talora sover- chiamente figurato, trattenendosi trop- po sopra una metafora, e convertendola spesso in lunga allegoria, nell' intralcia- mento dei periodi , e nella loro lunghez- za eccessiva. La disposizione delle paro- le non segue 1' ordine , che la nostra lin- gua richiede. jXoi 1' abbiani notato altro- ve (74) • Egli ha voluto dare all' italiana lingua r iperbato e le trasposizioni della latina, che quella non soffre. Vi si tro- veranno anche pochi esempi di stile vi- brato e robusto : è vero che questa, co- me tutte le altre prosedei Boccaccio, ne
(74) Saggio Primo, tom. 2.
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erano poco capaci ; ma quando l'auto- re la possiede si fa sentire tratto tratto nei più molli soggetti , come compari- sce un eroe , quando si è travestito. I difetti degli uomini grandi , e dei fon- datori dello stile disgraziatamente van- no perpetuandosi.e in tutti i secoli,e fino nel nostro gì' ignoranti imitatori del Boc- cacci o, invece di copiarne le belle e na- turali frasi, ne imitano l' intralciamento, la lunghezza dei periodi , e le parole an- tiquate; ed allora si credono puri ed au- rei scrittori. Un' altra obiezione di mag- gior contosi fa contro questo libro, accu- sandolo con molta ragione di contenere una scuola di oscenità, atta a depravare i costumi . Egli stesso parve , che lo riconoscesse come un libro atto a se- durre r incauta gioventù intitolando- lo sfrontatamente col nome di quello che sedusse i due sventurati cognati, can- tati da Dante (yS). Dalla piacevol di- fesa , eh' ei prende a far di se stesso, in quel medesimo libro , si scorge, che anche ai suoi tempi era condannato per (7 5) Guhoitofu il libro .e chilo scrisse, Dan. Inf. Il Boccaccio intitola il suo Decanierone, per lo stesso motivo Principe Galeotto, seppure que- sta iinprudeute intitolazione appartiene a lui .
l'^l DEL Txiy, DELLE SCIEN. E LET. questo difetto. Al principio della giorna- ta 4> trovasi quella scherzevole difesa, e contiene dei tratti assai spiritosi, ed atti a guadagnarsi il core del bel sesso. 4 quei che r accusavano, che da quel lib<*o, si scorgeva, che troppo gli picjcevano le donne, risponde con lo scambievole pen- dìo dell' uno verso l'altro sesso, che la natura ha impiantato nel cuore umano, e per provarlo , racconta una delle più leggiadre novelle, quella di fra Filippo, il di cui figlioletto allevato lontano dalla città e dalla vista delle donne, la prima volta che le vede, colpito dal loro aspetto domanda a suo padre che animali sono; gli risponde, che son papere ed egli colla maggior premura e semplicità, chiede al padre che glie ne compri una, e che si divertirà a farla beccare. Negli ultimi anni della vita, si pentì amaramente della sua libertina maniera di scrivere; e le<^- gendo le patetiche lettere , nelle quali prega con tutto il fervore, che il bel mon- do s'astenga da siffatta lettura, ci sembra d'ascoltarla sua ombra chieder pietà agli storici sulle letterarie fragilità della sua giovinezza ; e per ciò conviene perdonar- gli in grazia di tanti vezzi , ond' ha arric-
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obito la lingua. (76) Ci daole solamen- te , die un libro di tanta eleganza e pia- cevolezza, non si possa concedere ai gio- vinetti. Per rivestire di decenza, e porre un libro sì autorevole sotto gli occhi del-
(76) Fra gli altri documenti del pentimento del Boccaccio (vedasi la sua vita di Filip. Villa- ni) ne abbiamo uno dei più luminosi nella let- tera trovata dal sig Ab. Ciaccheri , biblioteca- rio dell' Università di Siena , e trasmessa al Sig. Tiraboschi, di cui questi ha stampato uno squar- cio tom. 5. p. 2. lib. 3. Questo stesso penti- mento amareggiò gli ultimi giorni del suo cele- bie imitatore la Fontaine. I motteggi contro i claustrali , i racconti delle loro debolezze , lo hanno fatto passare per irreligioso a torto. Egli ha trovato un valido difensore nel cardinal Bel- larmino ( M*nni , Ist.. del Decam. prefaz. ) La credenza religiosa del Boccaccio ricavasi ancora dal terrore , che sparse in lui la profezia della morte vicina fattagli a nome del Beato Pietro Petroni certosiuodal suo compagno P. Ciani. Il Boccaccio altamente colpito da questo annunzio lo scrisse al suo amico Petrarca , che con tutto il senno versò nel di lui animo un balsamo di consolazione. Realmente sopravvisse alla profe- zia i3 o 14 anni. Manni , Storia del Decara. p. i. e. 2;.
T74 ^^L ^^^' DELLE SCIEN. E LET. le modeste persone, se ne impressero Ta- ne correzioni, nelle quali, oltre molti altri si distinse il cat. Lionardo Salviati : ma non può negarsi che in queste corre- zioni non perda il libro una gran parte delle sue grazie, e sarebbe lo stesso che il pretendere di togliere ad una giovine donna galante i suoi vezzi, e l'arti sue lusinghiere, e costringerla alla matronale compostezza : essa non piacerebbe più a quel che chiamasi bel mondo. Sopra sif- fcitte correzioni sparse il suo comico sale con leggiadre, e piccanti ottave